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Blog - Concettina Elio dottoressa flebolinfologia
 

Combattere l’insufficienza venosa degli arti inferiori si può!
Informazioni utili e cose da sapere

Tutte le risposte alle domande più frequenti sulla ritenzione idrica alle gambe

Tutte le risposte alle domande più frequenti sulla ritenzione idrica alle gambe

Il gonfiore degli arti inferiori è un disturbo che colpisce moltissime persone. Potrei quasi dire la maggior parte di noi poiché i sistemi di drenaggio delle nostre gambe lavorano per gran parte del giorno contro la gravità (i liquidi devono salire verso il cuore).
Esistono infiniti motivi per cui le gambe tendono a gonfiarsi, da quelli più banali come la sedentarietà a patologie cliniche ben definite che necessitano di una valutazione specialistica. Ciò che nel linguaggio comune viene descritto erroneamente con “ritenzione idrica” è quasi sempre tutt’altro. La “ritenzione idrica” è in realtà una condizione clinica importante, per la quale il corpo non riesce ad espellere liquidi a causa generalmente di problematiche renali, cardiache, epatiche o ormonali. La “ritenzione idrica” degli arti inferiori idiopatica NON ESISTE. 

Sarebbe opportuno cominciare ad eliminare questo luogo comune e parlare della patologia dell’arto inferiore con termini ben più precisi: cellulite o PEFS, adiposità localizzata, lipedema, linfedema, edema da stasi, edema iatrogeno etc….

Se avete curiosità o domande in merito, scrivetemi qui. Sarò felicissima di aiutarvi.

 

Cos’è ciò che comunemente chiamiamo ritenzione idrica?

Quando parliamo di ritenzione idrica, utilizziamo questa espressione in modo improprio. Generalmente ci riferiamo alla tendenza degli arti inferiori a gonfiarsi in toto o in determinate zone. La ritenzione idrica, invece, è una conseguenza clinica grave di patologie sistemiche importanti, per cui l’organismo non riesce più ad espellere liquidi. Quando c’è una ritenzione idrica reale gli arti inferiori si gonfiano entrambi, moltissimo e in breve tempo. Per trattarla occorre utilizzare farmaci che si chiamano diuretici.

 

Qual è la reale causa del gonfiore degli arti inferiori che chiamiamo impropriamente ritenzione idrica?

Le cause del gonfiore degli arti inferiori possono essere numerose: alte temperature, sindrome premestruale, ciclo mestruale, gravidanza, utilizzo della pillola anticoncezionale, insufficienza venosa, insufficienza linfatica, adiposità localizzate, lipedema, sedentarietà, sovrappeso, deambulazione non corretta. Per avere un quadro chiaro è sempre opportuno sottoporsi ad una Visita Specialistica, che fornisce una diagnosi precisa.

 

È vero che se faccio poca pipì ho ritenzione idrica?

Sì e no. La ritenzione idrica vera, come detto prima, è la perdita della capacità dell’organismo di espellere liquidi, quindi si riconosce anche dalla forte riduzione della quantità di urine giornaliera. Ribadisco però che si tratta di una forma severa e più rara. Generalmente si fa poca pipì perchè si beve poco. Se non beviamo almeno 2,5 litri di acqua al giorno è difficile che si possa fare la pipì più di 3 – 4 volte al giorno. Se poi a questa routine aggiungiamo altre perdite di liquidi a cui spesso non pensiamo, come la sudorazione quando fa caldo, il numero delle pipì quotidiane potrebbe ulteriormente ridursi.

 

Come aiutare il drenaggio degli arti inferiori e quindi ridurre il gonfiore?

Se il gonfiore degli arti inferiori non è da ritenzione idrica vera, in attesa di un inquadramento clinico dettagliato effettuato da uno Specialista, si possono mettere in atto delle strategie che possono aiutare a ridurre il gonfiore e altri sintomi, quali senso di pesantezza, dolore al tatto, parestesie. È importante evitare la sedentarietà, controllare il sovrappeso, utilizzare calzature che permettono di deambulare correttamente. Se vivete al mare come me, vi consiglio di provare degli esercizi in acqua: ne ho parlato in un articolo dedicato. Anche il linfodrenaggio manuale è un validissimo supporto. Esistono  in commercio inoltre numerosi integratori a base di ippocastano, centella asiatica, bromelina, meliloto, pilosella che potete acquistare in farmacia senza ricetta medica, sebbene sarebbe più opportuno il consiglio dello Specialista per valutare al meglio come assumerli.  

Voglio sottolineare che il gonfiore non da ritenzione idrica NON VA ASSOLUTAMENTE TRATTATO FARMACOLOGICAMENTE CON I DIURETICI!

 

Il mio messaggio per voi

Tengo moltissimo a questo articolo. Sebbene sia breve, ho impiegato molto tempo per scriverlo. Ci ho pensato un sacco. Volevo essere chiara, tecnica ma di facile comprensione, concisa ma allo stesso tempo esaustiva.
Vorrei provare a sintetizzare due concetti per me importanti.
Il primo è che la maggior parte di voi che sta leggendo non ha la ritenzione idrica e sta cercando cause al suo problema molto più complesse di quelle che realmente sono.
Il secondo è che non si assumono diuretici solo perché si hanno le gambe gonfie. Si tratta di farmaci che vanno prescritti solo se ce n’è la stretta necessità.
Spero di essere riuscita a lasciarvi almeno questo... lo spero davvero tanto.

 

Gambe gonfie in gravidanza: cosa fare?

Gambe gonfie in gravidanza: cosa fare?

La gravidanza è un momento di trasformazione per il corpo e una prova molto importante per la mente di tutte le future mamme.
Nei 9 mesi che accompagnano noi donne al miracolo di donare la vita, tutto cambia, ed è importante affrontare ogni fase con quanta più serenità possibile.
Tra i disagi che possono presentarsi durante la gravidanza c’è il gonfiore alle gambe, che rappresenta nella maggior parte dei casi una conseguenza naturale sia delle alterazioni ormonali che della crescita del feto. Ne soffre il 70% delle donne a partire dai tre mesi di gestazione.

Il gonfiore alle gambe in gravidanza è quindi tipico e si può tenere sotto controllo con alcuni accorgimenti e una serie di semplici buone abitudini che possono aiutare a stare meglio.
Qualora però il gonfiore diventasse importante ed i sintomi difficili da gestire, è preferibile rivolgersi ad uno Specialista, per avere una diagnosi accurata e una terapia appropriata.

 

Perché le gambe si gonfiano in gravidanza?

Il gonfiore alle gambe in gravidanza è un fenomeno dovuto ai cambiamenti fisiologici, meccanici e biochimici che sta subendo il corpo. Nel primo trimestre della gravidanza aumenta moltissimo la produzione di progesterone, che favorisce la vasodilatazione e quindi la congestione venosa. Man mano che il feto cresce, nel corso dei mesi, l’utero diventa sempre più voluminoso e tende a comprimere i vasi venosi e linfatici circostanti creando un problema di deflusso. Nelle ultime settimane è così grande da poter comprimere vasi molto grandi come la vena cava inferiore, riducendo addirittura l’afflusso di sangue al cuore in posizione supina.
Le gambe tendono inoltre a gonfiarsi per l’aumento fisiologico del peso della donna in gravidanza ed anche per la non corretta postura che si assume man mano per adattarsi al pancione che non permette una corretta deambulazione.
Capite bene che i fattori che possono contribuire alla comparsa del gonfiore delle gambe in gravidanza sono diversi. A questi bisogna poi aggiungere la predisposizione individuale, i fattori di rischio già presenti prima della gravidanza quali l’obesità, le abitudini e lo stile di vita che si conduce e fattori ambientali come le alte temperature estive.

 

Gambe gonfie in gravidanza: i rimedi

Per alleggerire il gonfiore degli arti inferiori, il consiglio è di adottare una serie di accorgimenti, tutti da concordare con il proprio medico curante o il ginecologo:

  • indossare calze elastiche per migliorare il deflusso venoso e linfatico. Richiedete il consiglio del medico o di un professionista nella scelta della tipologia di calza elastica;
  • effettuare una regolare attività fisica, anche solo con passeggiate; quotidiane, a passo non troppo veloce e per circa mezz’ora al giorno; 
  • seguire una dieta equilibrata e tenersi idratate bevendo molta acqua; 
  • distendersi sul lato sinistro per tenere distante l’utero dalla vena cava inferiore;
  • utilizzare vestiti comodi che non creano pressioni selettive lungo gli arti inferiori;
  • indossare scarpe comode con suola morbida e soprattutto chiuse che permettono una corretta deambulazione;
  • applicare creme rinfrescanti e defaticanti che aiutano ad alleviare i sintomi;
  • sottoporsi a qualche seduta di Drenaggio Linfatico Manuale (dopo il primo trimestre)

Solitamente non sono necessarie indagini diagnostiche particolari, ma è importante sempre controllare la pressione arteriosa. In rari casi alcuni sintomi ben precisi possono far porre un sospetto di trombosi venosa profonda, che va quindi poi accertata con eco – color – doppler ed una valutazione specialistica.
Il gonfiore degli arti inferiori ha un andamento progressivo fino agli ultimi giorni di gravidanza e poi solitamente scompare poco dopo il parto. Se dovesse invece persistere anche dopo, è necessario rivolgersi ad un medico e capire quali sono le cause che lo determinano.

 

Il mio messaggio per voi

Sono al settimo mese di gravidanza anche io. La mia seconda gravidanza affrontata nel pieno del caldo estivo e comprendo perciò molto bene quanto sia impegnativo avere la sensazione di portarsi dietro due zavorre invece che due gambe!
Nonostante le alte temperature però le mie caviglie e i miei piedi hanno ancora una dimensione accettabile. Il segreto per evitare di trovarsi al nono mese con piedi e gambe giganti è di iniziare con le buone abitudini da subito, prima ancora che inizino a gonfiarsi. Io ho subito comprato due paia di calze elastiche in più, acquistato delle scarpe nuove e iniziato a fare qualche seduta di Drenaggio Linfatico Manuale.
Dovrei fare un po’ di attività fisica in più, lo confesso, ma cercherò di migliorare!

 

Mi presento: chi è Concettina Elio

Mi presento: chi è Concettina Elio

Scrivere di sé non è così facile, sebbene sia l’argomento su cui si dovrebbe essere più preparati (almeno credo). Mi sembrava però giusto parlarvi un po’ di me, per farvi conoscere anche la Concettina Elio che ero prima di diventare un medico e quella che sono oltre la mia professione.

 

Chi è Concettina Elio?

Domanda complicatissima perché non sono mai stata una grande sognatrice. Tendo a essere molto calata nel mio presente e cerco di gestire le situazioni man mano che si presentano. Ero così anche da adolescente. Non sono mai stata la ragazzina con i sogni nel cassetto. Non so perché. Posso però dire che a 40 anni (recentemente compiuti ahimè!!) sono esattamente come vorrei essere. Direi che sono molto fortunata!

 

3 aggettivi che mi rappresentano per farmi conoscere meglio

Tenace. Ma qualcuno direbbe molto testarda o addirittura ostinata e ne avrebbe tutte le ragioni, perché a volte forse esagero un po’!
Scrupolosa. Ma chi mi conosce bene aggiungerebbe che sono un po’ troppo pignola e “precisina”, fino a diventare a volte, anzi spesso, insostenibile. Ahimè, tutto vero!
Ottimista. Raramente mi capita di avere una visione molto negativa delle situazioni, tendo a pensare sempre che in qualche modo una soluzione si troverà

 

Perché ho scelto di fare il medico?

Subito dopo la maturità classica, spinta dal voler diventare indipendente il prima possibile, avevo deciso che non avrei proseguito i miei studi e che avrei cercato immediatamente un lavoro. Nelle prime settimane ho portato curriculum nei più svariati posti, nella speranza che qualcuno mi desse la possibilità di fare formazione ed intraprendere velocemente un percorso lavorativo.
I miei genitori erano un pochino preoccupati, i mesi estivi trascorrevano ed io non prendevo una decisione. Un giorno mia mamma mi ha preso in disparte e mi ha chiesto se ero davvero sicura di non voler iscrivermi all’Università, visto che mi era sempre piaciuto molto studiare. Mi sono presa qualche giorno per riflettere e poi una sera a tavola ho annunciato che avrei provato a sostenere il test di ammissione di Medicina all’Università di Chieti.
Medicina mi sembrava la facoltà che meglio mi rappresentava: materie scientifiche calate però in un ambiente a totale contatto con l’uomo. Mi sono iscritta al test, ho scaricato il programma e studiato per qualche settimana ed i primi di Settembre ero tra i banchi del tridente di Chieti. Eravamo in tantissimi ed io mi sentivo molto un pesce fuor d’acqua perché gli altri mi sembravano super super preparatissimi. Qualche settimana dopo il risultato: ero stata ammessa. Credo di aver pianto per ore nel pomeriggio che l’ho saputo.
In qualche modo la mia vita aveva preso la sua strada…

 

… e perché questa specializzazione?

In realtà la mia prima idea sul percorso di studi da proseguire post – laurea era stata di diventare Pediatra, guidata dal mio amore per i bambini. Durante i miei anni di tirocinio per la tesi in Pediatria ho scoperto la mia passione per le indagini ecografiche, in particolar modo le dinamiche. La mia stessa tesi aveva come argomento lo studio eco – color – doppler dell’emodinamica renale. Ancora però non capivo come inquadrare bene questa mia inclinazione.
Nel corso delle settimane del tirocinio per l’esame di stato ho conosciuto la persona che è stata ed è il mio mentore in tutto il mio percorso successivo, lavorativo e personale, il Dr. Sigismondi, che involontariamente mi ha fatto conoscere ed appassionare alla Flebolinfologia. E così, finito l’esame di Stato, ho intrapreso questo cammino, di cui sono felicissima.

 

Se non avessi fatto il medico, mi sarebbe piaciuto diventare… e vi spiego perché

Su questa domanda non ho alcun dubbio. Se non avessi fatto il medico avrei fatto l’architetto e designer di interni. Io adoro sistemare e arredare case. Ogni volta che qualcuno a me vicino compra o ristruttura casa, io chiedo le piantine per giocarci un po’. Spostare muri, creare ambienti, decidere dove posizionare stanze, mobili, sanitari, lavanderie e quant’altro mi rilassa un sacco e mi piace tanto. Non saprei dire perché. L’ho sempre fatto fin da bambina. I miei genitori mi hanno sempre coinvolta nelle scelte di casa e a me non ha mai creato disagio, anzi! Girovagare nei mobilifici è sempre stato un diletto.

 

Il mio messaggio per chi desidera intraprendere questa carriera

A me piace molto essere un medico. E questo puoi solo sentirlo, dentro di te.
Dopo tanti anni, ancora adesso, quando la mattina arrivo in sala operatoria, sebbene sappia che mi aspetta una dura giornata, per qualche istante, quando è ancora vuota, mi siedo su uno sgabellino e assaporo il momento. Lo faccio sempre, da sempre. Mi sento a casa. Quasi più che a casa mia. Indipendentemente dal percorso di Specializzazione, come una volta mi ha detto una persona a me infinitamente cara che ora non c’è più, “è uno sporco lavoro”. Lo capisci veramente solo quando per la prima volta mentre sei in treno senti l’altoparlante chiedere se c’è un medico a bordo. Perché non si fa il medico, ma lo si è. Sempre. Ad un pranzo di famiglia, a cena con gli amici, al mare sotto l’ombrellone, durante una passeggiata in centro, mentre leggi in relax un libro sul divano. C’è sempre qualcuno che ha bisogno di chiederti qualcosa. Devi abituarti presto a questo. E devono farlo anche le persone care che ti sono più vicine. È però un lavoro splendido che assorbe tante energie ma che restituisce soddisfazioni immense. Il sorriso e la gratitudine delle persone a cui offri la tua professionalità sono impagabili.

 

 

La linfangite: definizione, cause e trattamento

La linfangite: definizione, cause e trattamento

Per quanto meravigliosa e spesso tanto desiderata, la stagione estiva non è sicuramente la più amata dalle nostre gambe. Le alte temperature portano vasodilatazione periferica e quindi comparsa o peggioramento dell’edema, in particolar modo nei soggetti predisposti.
Come abbiamo detto più volte, il gonfiore delle gambe può esporre a complicanze, poiché le zone di ristagno possono diventare l’ambiente più appetibile per germi e batteri e quindi sito di infezione. In questo articolo vi parlerò di un'infezione favorita proprio da questa particolare condizione: la linfangite. Vedremo come imparare a gestire sia l’edema sia la possibile contaminazione.

 

Linfangite: cos’è?

La linfangite è un’infezione dei vasi linfatici degli arti superiori e inferiori. I vasi linfatici appartengono al sistema linfatico, il nostro principale sistema di difesa, e si occupano di drenare proteine, liquidi, lipidi e sostanze di scarto dall’interstizio al sistema circolatorio sanguigno. I vasi linfatici sono interrotti dai linfonodi che sono dei veri e propri filtri che rimuovono cellule danneggiate, cancerose e particelle estranee alla linfa.

 

Linfangite: le cause

La nostra cute ci difende dall’aggressione di qualsiasi microrganismo estraneo. Quando la sua integrità viene interrotta (tagli, abrasioni, punture di insetto, graffi) si apre una porticina di ingresso per virus, batteri, funghi. In condizioni di normalità, le difese presenti localmente bloccano immediatamente gli ospiti sgraditi e il corpo si attiva per la guarigione. Quando però c’è edema e ristagno, le difese presenti localmente fanno più fatica ad arrivare al sito di ingresso e a combattere i microrganismi entrati poiché sono costretti a lavorare in un ambiente poco favorevole. Alcuni batteri o virus o funghi riescono così a sfuggire al nostro sistema di difesa e ad arrivare a strutture più profonde, come i vasi linfatici, causando un’infezione, la linfangite.  Se non immediatamente curata può estendersi a tutta la zona fino alla cute, complicandosi ulteriormente in dermatolinfangite.

 

La linfangite: i sintomi

I sintomi più comuni della linfangite sono febbre improvvisa molto alta, brividi, cefalea, dolori muscolari, tachicardia, dolore continuo e intenso nella zona colpita dall’infezione e sensazione di caldo nell’area infetta. L’infezione si manifesta inoltre con gonfiore dell’arto interessato e arrossamento. Si notano poi delle vescicole che trasudano linfa e che diventano ulcerazioni di varie dimensioni. Il prurito e il conseguente grattamento vanno ad aggravare il quadro clinico, provocando un’estensione dell’infezione che acuisce il dolore. 

 

Come si fa diagnosi di linfangite

La diagnosi di linfangite è clinica. Essendo però poco conosciuta, spesso viene confusa con la flebite ed è quindi consigliabile effettuare una visita da uno specialista per una diagnosi precisa, sia della patologia in corso che della patologia sottostante. A volte, in casi dubbi, può essere utile eseguire un ecocolordoppler per escludere con certezza che si tratti di una trombosi. Bisogna indagare soprattutto sui motivi che hanno favorito la comparsa della linfangite, ovvero le cause dell’edema presente prima dell’infezione (linfedema, lipedema, edema da stasi per sedentarietà, obesità, grave insufficienza venosa cronica) o motivi che hanno reso il sistema immunitario meno reattivo (immunosoppressione farmacologica, HIV, patologie del sistema immunitario).

 

Come si cura la linfangite

La cura della linfangite si effettua principalmente mediante antibiotico ad ampio spettro. In base all’estensione si può scegliere la somministrazione per bocca, intramuscolo e endovenosa e variarne il dosaggio. Localmente può essere utile applicare topici per il prurito e la flogosi e assumere analgesici o antiinfiammatori per la gestione del dolore e dell’infiammazione della cute. Non si può inoltre prescindere dall’intervenire anche sull’edema, con bendaggio multistrato se necessario oppure solo con calza elastica se immediatamente possibile.

 

Come si previene la linfangite

Una volta risolto il quadro acuto, bisogna impostare un programma terapeutico ben preciso affinché il problema non si proponga nuovamente. Il primo obiettivo è ridurre o eliminare l’edema, con un corretto stile di vita (combattere sedentarietà, ridurre il peso, evitare posture erette o sedute prolungate), con una terapia medica appropriata (in caso di linfedema o lipedema), con una terapia fisica dedicata, se necessaria, come il drenaggio linfatico manuale, con un’elastocompressione specifica. È inoltre sempre indicato usare norme igieniche idonee, ovvero lavare e disinfettare sempre bene i siti di lesione della cute (anche solo di punture di insetto) e coprirli fino a completa guarigione, disinfettare per bene le zone periungueali dopo manicure o pedicure più invasive, preferire indumenti coprenti gli arti se si intende fare lavori in campagna o comunque all’aperto, ed evitare di farli nelle ore più calde del giorno. 

 

Il mio messaggio per voi

Questo è il periodo in cui in ambulatorio arriva il maggior numero di persone che ha la gamba gonfia, rossa e dolente.  All’ingresso in studio tutti mi dicono di avere una flebite e che sono anni che quando arriva il caldo la hanno e perciò viene somministrata ripetutamente eparina. In realtà si tratta quasi sempre (direi anche sempre) di linfangiti non diagnosticate che si ripetono spesso perché non se ne prevengono le cause. Mi piace pensare che questo piccolo vademecum sia stato d'aiuto, almeno per imparare a gestire meglio le lesioni della cute e il gonfiore delle gambe, soprattutto nei periodi più caldi dell’anno. Lo spero davvero tanto…

La respirazione è importante per la salute delle gambe: come renderla più efficiente? Ecco i consigli della dott.ssa Marina Viberti

La respirazione è importante per la salute delle gambe: come renderla più efficiente? Ecco i consigli della dott.ssa Marina Viberti

Il corpo umano è un sistema complesso ma ricco di sorprese. Si compone di numerosi elementi e ognuno, anche il più piccolo, contribuisce al funzionamento di una struttura che vive di equilibri.
In questo articolo vi parlerò dell’importanza della respirazione per la salute delle nostre gambe e, per trattare nel modo migliore l’argomento, mi sono affidata ai consigli della dott.ssa Marina Viberti, fisioterapista esperta in Drenaggio Linfatico Manuale sec. scuola Vodder e nuove tecniche per il trattamento delle patologie flebo – linfatiche degli arti inferiori e superiori.
Leggendo il titolo avrete sicuramente pensato “Cosa c’entra la respirazione con le gambe”, eppure scopriremo insieme che una connessione c’è e che, attraverso alcuni semplici esercizi, si può migliorare la condizione dei nostri arti inferiori.

 

Perché la respirazione è importante per le gambe

La respirazione è un processo che permette a tutti gli organi e i tessuti dell’organismo di ossigenarsi. Ha un’importante influenza sul sistema vascolare, in particolare sul ritorno venoso poiché respirare in modo lento e profondo favorisce un passaggio maggiore di ossigeno dall’aria al sangue, così da rallentare il battito cardiaco, migliorare il famoso ristagno che provoca problemi al sistema linfatico e facilitare l’espulsione dei prodotti di scarto. Tutto questo avviene grazie all’attività del diaframma, il prezioso alleato del nostro benessere, definito anche il muscolo della serenità, perché contribuisce a ridurre lo stress e aiuta il corpo ad espellere le sostanze nocive.

 

Come funziona il diaframma

Dott.ssa Viberti: “Il diaframma è il muscolo principale della respirazione. È un muscolo a forma di cupola che si trova appena sotto i polmoni e divide la cavità toracica da quella addominale. Durante l’inspirazione, la gabbia toracica si espande, il diaframma scende e si appiattisce con diminuzione della pressione intratoracica, gli organi addominali vengono schiacciati con conseguente aumento della pressione addominale. Durante l’espirazione invece avviene il contrario: il diaframma si innalza e assume la sua tipica forma di cupola, facendo così aumentare la pressione intratoracica e diminuire quella addominale. Questi giochi di pressione fanno sì che si crei una specie di effetto vacuum e di conseguenza si determini un richiamo dei liquidi, sangue e linfa, dal basso verso il centro e poi verso il cuore. Durante tutta la nostra vita il diaframma effettua questi movimenti di contrazione in maniera involontaria, ma può essere rieducato e maggiormente stimolato attraverso contrazioni volontarie.” 

 

Esercizi respiratori nelle terapie delle patologie linfatiche e venose

Stimolare il diaframma significa rendere ancora più efficiente la nostra respirazione e quindi aiutarci in caso di patologie connesse al sistema linfatico. Dott.ssa Viberti: “Possiamo affermare che in caso di problemi a carico del sistema venoso-linfatico agli arti inferiori (linfedema, lipedema, flebolipedema ecc…) inserire nel programma terapeutico anche esercizi respiratori può essere sicuramente molto utile.”

 

Gli esercizi riabilitativi per il diaframma  

Dott.ssa Viberti: “Sono numerosi gli esercizi riabilitativi per il diaframma che possono migliorare non solo la capacità respiratoria ma anche aumentare il ritorno venoso, e quindi ottimizzare anche il ritorno linfatico.

Ecco alcuni esercizi di facile attuazione per migliorare la nostra respirazione addominale:

  • ES. 1. Posizione supina, gambe piegate. Poggiate una mano sulla pancia e una sul torace e iniziate a rilassarvi. Iniziate a inspirare con il naso cercando di gonfiare la pancia; la mano vi serve proprio per sentire l’addome che si solleva e poi espirate lentamente con la bocca socchiusa accompagnando lo svuotamento dell’addome con la mano.
    Ripetete l’esercizio per almeno 20 volte 2 volte al giorno

  • ES. 2. Stesso esercizio di prima ma aggiungendo una pausa in apnea di ¾ secondi sia alla fine dell’inspirazione che dell’espirazione.
    Ripetere l’esercizio per 10 volte 2 volte al giorno
     
  • ES. 3. Una volta imparata la respirazione diaframmatica ripetere gli esercizi anche in posizione eretta con la schiena appoggiata al muro, le gambe leggermente divaricate e flesse.
    Ripetere l’esercizio per 5 volte 2 volte al giorno

 

 

Il mio messaggio per voi

Una delle grandi rivoluzioni della medicina degli ultimi anni è aver compreso che il corpo è una struttura unica, nella quale ogni componente contribuisce a far funzionare bene le altre. Bisogna avere sempre una visione a 360° sulla patologia, che mai riguarda un unico apparato. Imparare a respirare contribuisce al benessere generale e soprattutto a quello delle nostre gambe. Ovviamente avere una buona respirazione non risolve il problema venoso o linfatico ma aiuta a migliorarlo, soprattutto se gli esercizi respiratori sono inseriti in un programma terapeutico integrato.
Quando ho scelto di diventare un medico sapevo di poter fare un lavoro interessante, ma il bello è arrivato quando ho trovato dei collaboratori come la dott.ssa Marina Viberti con la quale poter studiare per rendere tutto ancora più efficace ed affascinante.

 

 

Le risposte alle domande frequenti su vene varicose e capillari visibili

Le risposte alle domande frequenti su vene varicose e capillari visibili

Le temperature cominciano a salire e siamo ad un passo dal mettere in mostra le nostre gambe dopo il torpore dell'inverno. Per chi ha vene varicose e capillari visibili questo è generalmente il momento dell’anno in cui tornano dubbi e perplessità su come comportarsi per affrontare al meglio la nuova stagione estiva.

Prima di affidarvi ai miracolosi rimedi della nonna, vi consiglio di leggere le informazioni che troverete in questo piccolo vademecum, creato nel tentativo di rispondere ad alcune delle vostre domande più frequenti. Ovviamente si tratta di brevi suggerimenti che per diventare delle risposte esaustive hanno bisogno di approfondimento clinico e diagnostico.
Se avete ulteriori curiosità o domande, non esitate a contattarmi!
Potete farlo qui.

 

Le vene varicose sulle mie gambe sono la safena?

No. La vena grande safena e la vena piccola safena sono due delle principali vene di drenaggio dei nostri arti inferiori. La prima origina nella zona del malleolo interno e arriva all’inguine, la seconda origina nella zona del malleolo esterno e arriva al cavo popliteo. Come l’intero albero venoso del nostro corpo, hanno il compito di trasportare il sangue dai distretti periferici al cuore. Per evitare che durante questo percorso verso il cuore il sangue torni in basso a causa della forza di gravità, all’interno delle vene ci sono delle valvole che garantiscono che il flusso sia sempre nella direzione corretta (ovvero dal basso verso l’alto). Quando questo sistema comincia a dare problemi, insorgono le vene varicose, dette anche varici, che si presentano come dei rigonfiamenti lungo la gamba e la coscia.

Le vene safene si trovano ad almeno 3 – 5 cm di profondità dalla superficie della cute quindi sono più interne. Le vene varicose che vedete visibili sono i rami collaterali delle safene che si sono dilatati e quindi sono diventati più esposti rispetto alla superficie cutanea.

 

I capillari che vedo sulle mie cosce sono capillari rotti?

No. I capillari sono i più piccoli vasi sanguigni del nostro corpo. Sono collocati nella parte più periferica del sistema venoso e quindi nella zona più superficiale della pelle. Quando diventano molto visibili, non si sono rotti ma si sono dilatati. Non bisogna allarmarsi pensando ad emorragie, trombosi o altro. I motivi per cui i capillari diventano più visibili e dilatati possono essere i più disparati ma mai segno di un’urgenza clinica. Con calma fate riferimento ad uno Specialista che vi aiuterà a comprendere meglio l'origine del problema.

 

Posso usare il fondotinta per gambe con i capillari?

Certo che si. È un rimedio che utilizzano molte delle mie pazienti che hanno capillari visibili localizzati. Esistono anche dei prodotti specifici diversi da quelli viso, adatti proprio alle imperfezioni del corpo. Ricordate comunque che i capillari visibili si possono trattare e che se un giorno non avete più voglia di coprirli si può provare a renderli meno antiestetici!

 

Ho vene varicose e/o capillari visibili, posso fare la ceretta?

Tendenzialmente si. Il consiglio è di non effettuare la ceretta a caldo, perché oltre al trauma generato dallo strappo ci sarebbe anche il rischio di facilitare la vasodilatazione, che può peggiorare il quadro varicoso e i capillari dilatati. Sarebbe preferibile farlo fare a personale esperto, in quanto è importante che gli strappi siano delicati e molto vicini alla cute così da generare il minimo trauma possibile. Esistono anche altre tecniche di depilazione che possono essere utilizzate, come laser ed epilatori elettrici.

 

Posso prendere il sole se ho le vene varicose?

Si, ma con le dovute attenzioni. Per chi soffre di vene varicose l’esposizione al sole crea problemi per due motivi. In primis perché il calore provoca vasodilatazione e quindi può contribuire a peggiorare il quadro clinico varicoso e la sintomatologia correlata. In secondo luogo poiché i raggi UV tendono a macchiare le zone di cute sottoposte ad infiammazione, come lo sono le aree in cui decorrono le varici. Tali macchie possono restare indelebili. Il mio consiglio è di evitare l’esposizione prolungata al sole e nelle ore più calde del giorno. È sempre indicato utilizzare protezioni alte, soprattutto nelle aree cutanee a maggior rischio di pigmentazione.

 

Posso portare i tacchi se ho le vene varicose e i capillari visibili?

I latini dicevano "In medio stat virtus" e mai come in questo caso la soluzione sta proprio nel mezzo! Il tacco molto alto e quello molto basso o assente non permettono un buon drenaggio dell’arto poiché la caviglia e il piede non si muovono correttamente durante la deambulazione, favorendo il ristagno venoso. Vorrei però tranquillizzarvi dicendo che questo accade se usate la calzatura scorretta nella quotidianità, ma non succede nulla se per una cena o un evento decidete di indossare il tacco 12! Portatelo con serenità tutte le volte che vi va, a patto che non diventi la vostra abitudine.

 

Come dormire con le vene varicose?

Normalmente. Non ci sono particolari indicazioni sulla posizione del riposo se si hanno vene varicose. Se però i sintomi del ristagno venoso come pesantezza, gonfiore e prurito sono diventati importanti e siamo costretti per lavoro o altro a stare molte ore seduti o in piedi, può essere utile sollevare gli arti durante il riposo. Questo non vuole ASSOLUTAMENTE dire che dovete mettere il cuscino sotto le gambe o rialzare la gamba con una sedia, ma bisogna sollevare l’arto in modo che nulla prema sotto le gambe e nulla chiuda il cavo popliteo o l’inguine. Quindi per il riposo notturno sollevate i piedi del letto o il materasso e per il riposo diurno stendetevi su letto o divano e se proprio preferite la poltrona acquistatene una che abbia un sistema di sollevamento delle gambe accuratamente studiato.

 

Il mio messaggio per voi

Spero di essere riuscita a fornirvi qualche piccolo aiuto con questo mini – vademecum. E’ da molto tempo che raccolgo le domande più frequenti dei pazienti nel tentativo di essere sempre più pronta e chiara durante le mie visite. Il mio consiglio più grande è di chiedere sempre a personale esperto, non cercate risposte da fonti poco attendibili che siano on – line o il vicino di casa. Anche la domanda più banale non merita una risposta banale se si tratta di voi… non dimenticatelo mai.

 

 

Trattamento dell’ulcera degli arti inferiori: gli innesti di cute

Trattamento dell’ulcera degli arti inferiori: gli innesti di cute

L’ulcera degli arti inferiori rappresenta, da sola o in associazione, il 75% delle lesioni trofiche di questa parte del corpo. È inoltre una delle prime cause di morbilità in Europa e colpisce lo 0,5-1,5% della popolazione.
Di ulcere venose croniche delle estremità degli arti inferiori ne soffre il 3-5% delle persone con più di 60 anni, con una maggiore diffusione nelle donne. Nel 70-90% dei casi le cause si fanno risalire a insufficienza venosa e arteriosa e a malattie metaboliche, in particolare il diabete. 

L’ulcera è una lesione cronica della pelle che non si cicatrizza prima di sei settimane e che ha un’altissima recidiva, si stima intorno al 30%.  

Secondo gli ultimi dati dell'Associazione Italiana Ulcere Cutanee, in Italia sono 2 milioni le persone affette da lesioni croniche cutanee e soffre di ulcera da decubito l’8% delle persone ricoverate e il 15-17% dei pazienti ospitati nei luoghi di lungodegenza. Sono dati destinati ad aumentare perché la vita media si sta allungando e sono sempre di più le persone che hanno patologie croniche debilitanti, che costituiscono in alcuni casi fattori di rischio per la manifestazione di ulcere degli arti inferiori. L’ impatto economico sul Sistema Sanitario Nazionale è molto rilevante, perché le spese da sostenere a causa delle possibili recidive si protraggono nel tempo. È dunque una bella sfida per noi operatori cercare di ridurre l’impatto di questa patologia e studiare le alternative più utili per alleviare sofferenze e dare speranza ai pazienti.

Le cure a disposizione sono varie, e alcune permettono anche di ottenere risultati a breve termine, ma il percorso non è sempre semplice e lineare. Ogni caso va studiato con attenzione e coinvolgendo diversi Specialisti.
Una delle possibilità di trattamento tra le più valide ed efficaci è l’innesto di cute, che, se inserito all’interno di un piano terapeutico ben strutturato, permette di raggiungere ottimi risultati in poco tempo.

 

Ulcera degli arti inferiori: come si presenta

L’ulcera venosa si presenta di solito come una perdita di sostanza cutanea di forma irregolare, con il fondo ricoperto da un essudato giallastro, con margini ben definiti, circondata da cute eritematosa o iperpigmentata e liposclerotica. Varia per dimensione e sede, ma nei pazienti portatori di varici si manifestano generalmente nella regione mediale del terzo inferiore di gamba. Si caratterizza per la lunga durata e per la tendenza a recidivare. Le cause di un’ulcera degli arti inferiori sono collegate a problemi vascolari nel 95% dei casi. Sono molto più frequenti le ulcere venose rispetto a quelle arteriose e possono comparire anche in caso di piede diabetico, una delle manifestazioni più cruente, che porta in alcuni casi a gravi conseguenze, come l’amputazione.

 

Ulcere degli arti inferiori: la terapia

La terapia per l’ulcera degli arti inferiori ha come obiettivo non solo la guarigione, ma anche e soprattutto la prevenzione della recidiva e un miglioramento della qualità della vita. L’ulcera venosa provoca molto dolore e problemi alla mobilità, generando nel paziente un senso di frustrazione che aumenta se ci sono recidive e che spesso si trasforma in isolamento sociale, mancanza di autostima e problemi economici. Intervenire quindi in maniera incisiva sulla lesione e ristabilire un certo equilibrio psicofisico è indispensabile. 

Prima di procedere con il trattamento, che può durare anche diversi mesi, è essenziale un’indagine specifica, da svolgere mediante visita specialistica per provare ad individuarne le cause, capirne la gravità e procedere con diverse operazioni, che vanno dal trattamento topico con medicazioni avanzate associato a trattamento compressivo, all’utilizzo di prodotti di ingegneria tissutale, fino all’innesto. 

 

Trattamento dell’ulcera degli arti inferiori: gli innesti di cute

Gli innesti di cute per il trattamento dell’ulcera degli arti inferiori hanno la finalità di ripristinare l’integrità cutanea a livello della sede della lesione. L’intervento viene eseguito con un ricovero ordinario e prevede alcuni giorni di degenza.  L’operazione ha una durata di circa 30 minuti e viene effettuata in anestesia locale assistita. Si svolge in due fasi principali: la prima consiste in una pulizia profonda del letto dell’ulcera, il debridement; la seconda invece prevede l’apposizione a strati di cute preparata in piccoli fogli che vengono stesi per coprire l’intera superficie.
Gli innesti di cute possono essere di cute omologa, che viene ordinata all’occorrenza per il paziente da trattare presso la banca della cute più vicina, o di cute autologa, che solitamente viene prelevata dalla coscia del paziente, trattata e preparata in sala operatoria.
Una volta completato l’intervento, sull’innesto vengono stratificate delle garze impregnate con antisettici ad ampio spettro, e viene confezionato un bendaggio multistrato.
I rischi del trattamento chirurgico sono bassi e risultano inferiori al rischio che si corre tenendo un’ulcera aperta per molto tempo.
In più, i trattamenti conservativi, alleviano sicuramente i sintomi e rallentano l’evoluzione della malattia, ma non proteggono sempre dalle complicanze alle quali può andare incontro il paziente. L’innesto di cute è quindi un intervento che riesce a dare risultati molto soddisfacenti sia per quanto riguarda i sintomi sia per quanto concerne l’evoluzione della malattia, scongiurando problemi risultanti da complicanze.

 

Il mio messaggio per voi

Il giorno del mio primo innesto di cute ero emozionatissima. Avevo al mio fianco tutor di eccellenza che mi hanno insegnato a procedere con cautela e nel migliore dei modi. Al termine dell’intervento ero super soddisfatta del lavoro eseguito… eppure non potevo immaginare quanto lo sarei stata alla prima medicazione e alle successive! Rivedere un paziente dopo soli pochi giorni finalmente sorridente, riposato e di nuovo fiducioso dopo aver vissuto con lui il dolore, la frustrazione e lo sconforto mi ha regalato una gioia immensa. Avere a disposizione la possibilità di utilizzare diverse strategie terapeutiche per lo stesso quadro clinico è una delle meraviglie della medicina.
Ogni giorno posso imparare cose nuove che mi permettono di essere più efficace nel mio lavoro e, nel mio piccolo, di poter aiutare al meglio chi ne ha la necessità.

 

 

L'Intervista. L'infermiere Andrea Di Cesare ci spiega cos'è l'assistenza domiciliare

L'Intervista. L'infermiere Andrea Di Cesare ci spiega cos'è l'assistenza domiciliare

Nel mio lavoro ho la fortuna di collaborare con diversi professionisti, che mi aiutano nell'assistenza e nella cura del paziente con l'obiettivo di fornire un servizio efficiente e assicurare il raggiungimento dei risultati previsti dalla terapia.
Abbiamo già incontrato nelle interviste la dott.ssa Sara Rucci, biologa nutrizionista, e la dott.ssa Marina Viberti, fisioterapista esperta in linfodrenaggio.
La terza intervista la dedichiamo ad Andrea Di Cesare, infermiere specializzato nell'assistenza domiciliare, esperto in Wound Care.

 

Cos’è l’assistenza domiciliare e a chi è rivolta?

L’assistenza domiciliare considera l’abitazione come lo spazio di cura principale, nella quale la persona può essere assistita da personale sanitario qualificato e specializzato e può vivere nel suo contesto sociale e familiare la propria condizione di fragilità.
L’assistenza domiciliare è un servizio previsto dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), per dare risposta ai bisogni di salute del cittadino e dei più fragili.
Il nostro Servizio Sanitario Nazionale garantisce l’assistenza a tutti i non autosufficienti, a persone con disabilità, a malati terminali, oncologici e bambini con patologie gravi o prematuri. 

 

 

Cosa significa A.D.I. ?

A.D.I. è l'acronimo di Assistenza Domiciliare Integrata e consente di erogare trattamenti sia di natura sanitaria che sociosanitaria direttamente presso il domicilio della persona fragile o non autosufficiente, in modo coordinato e continuativo.

 

Tu sei un infermiere specializzato in assistenza infermieristica domiciliare. Cosa ci puoi dire a riguardo?

L’approccio infermieristico alla persona in ambito domiciliare è globale e multidisciplinare. Il professionista infermiere valuta i bisogni assistenziali della persona, sfruttando le tecnologie a sua disposizione, pianifica ed esegue concretamente gli interventi infermieristici in termini sia qualitativi che quantitativi. L’infermiere, nel suo agire professionale, valuta eventuali punti di forza o di debolezza presenti nel contesto socio-familiare in cui vive la persona assistita ed utilizza la tecnologia a supporto del processo di nursing. La tecnologia rappresenta un’opportunità e non una criticità, un elemento che favorisce l’efficacia, l’efficienza e la qualità delle prestazioni infermieristiche e non un ostacolo alla pratica e all’evoluzione dei modelli operativi, organizzativi e gestionali con cui vengono offerti i servizi.
Altro elemento fondamentale dell’assistenza domiciliare è rappresentato dal ruolo dell’infermiere come educatore. L’educazione sanitaria infermieristica rappresenta un punto cardine dell’assistenza domiciliare. Informare, formare, coinvolgere ed educare l’utente ed il caregiver permettono di migliorare l’adesione al percorso assistenziale. Alcune strategie, come la patient empowerment, rappresentano elementi educativi sanitari indispensabili per promuovere comportamenti favorevoli alla salute. Un utente informato, infatti, partecipa attivamente al proprio processo di presa in carico, è incluso attivamente nei processi decisionali ed aumenta la propria compliance rispetto alle terapie proposte.
Il successo di un processo assistenziale infermieristico, è la relazione di cura, il cui significato è racchiuso nell’art. 4 del Codice Deontologico: “Nell’agire professionale, l’infermiere stabilisce una relazione di cura, utilizzando anche l’ascolto e il dialogo. Si fa garante che la persona assistita non sia mai lasciata in abbandono coinvolgendo, con il consenso dell’interessato, le sue figure di riferimento, nonché le altre figure professionali e istituzionali”

In conclusione possiamo affermare che l’assistenza domiciliare è un mondo a sé, nel quale il professionista non si limita ad eseguire l’atto tecnico-assistenziale ma si fa carico della persona e del suo contesto familiare a tutto tondo.
Per vedere Andrea all'opera, cliccate su questo link

 

Come si può richiedere l’A.D.I.?

Possono richiedere l’attivazione dell’A.D.I.  tutti i cittadini residenti nella Regione Molise e per coloro che sono fuori regione è necessaria l’autorizzazione del Distretto Sanitario di Base di residenza. La richiesta di Assistenza Domiciliare Integrata può essere inoltrata da un medico ospedaliero in fase di dimissione ospedaliera, dai servizi sociali dell’ambito distrettuale o dai caregiver attraverso il proprio medico di medicina generale. La richiesta viene quindi inoltrata dal Medico di Medicina Generale alla Punto Unico di Accesso del Distretto di riferimento che provvederà a stabilire i bisogni dell’utente e a definire gli obiettivi degli interventi da effettuare.
Completato il processo di valutazione di tutti i bisogni assistenziali e valutata la sua eleggibilità alle cure domiciliari, il Piano Individuale di Assistenza (PAI) verrà inoltrato alla Home Care Molise che provvederà ad eseguire le prestazioni autorizzate e richieste dal distretto di riferimento. 

 

Hai nominato l'Home Care Molise. Puoi dirmi cos'è e quali sono le prestazioni che si possono effettuare con questo servizio?

Home Care Molise è un'azienda che opera in tutta la Regione Molise per conto del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) attraverso la partecipazione a gare d’appalto o in regime di accreditamento. L’esperienza pluriennale del personale è in grado di rispondere professionalmente e tempestivamente ai bisogni assistenziali degli utenti. Le principali figure professionali disponibili per prestazioni domiciliari sono:

  • Medici Specialisti
  • Infermieri
  • Fisioterapisti
  • Operatori Socio Sanitari
  • Servizi di Telemedicina e di Telemonitoraggio domiciliare

Le prestazioni che possono eseguite dalla Home Care Molise sono: visite mediche specialistiche, prelievi venosi, terapie iniettive ed infusioni, emotrasfusioni (in presenza del personale medico), gestione PEG, cateterismo vescicale, wound care, gestione urostomie e colostomie, gestione di accessi vascolari quali PICC e CICC, tracheostomie e broncoaspirazione. Possono essere svolti interventi fisioterapici e riabilitativi. Tali prestazioni sono interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale e pertanto, gratuite. 

Gli operatori della Home Care Molise sono inoltre dotati di device in grado di fornire all’utente prestazioni di teleassistenza e di telemonitoraggio, che consentono di avere flussi di dati sanitari continui e fruibili da tutti coloro che sono coinvolti nel processo di presa in carico. Questa visione così innovativa della gestione domiciliare permetterà una sorveglianza ed un servizio sempre più di eccellenza, che consentirà al paziente di sentirsi seguito a casa come fosse ogni giorno in una Struttura Dedicata.

 

Vi racconto come ci siamo incontrati…

A dire il vero non ricordo più come ho conosciuto Andrea. È come se facesse parte della mia quotidianità lavorativa da sempre. A causa dei nostri impegni riusciamo ormai a vederci poco ma è come se fosse costantemente al mio fianco. In ogni istante ho la certezza assoluta che se ho bisogno del suo supporto nella gestione di un paziente lui c’è.  È un ragazzo speciale, che non è mai sazio di conoscenza e questo lo porterà lontano ne sono certa. I pazienti che gestisce a domicilio lo adorano perché vengono seguiti con professionalità e amore. Se avessimo più Andrea Di Cesare sul territorio molisano sicuramente le cose andrebbero meglio. La mia speranza è di poter conoscere sempre più giovani professionisti come lui. So che ci sono, è solo che ancora la sorte non ci ha fatto incontrare! Potremmo diventare tutti una bella squadra al servizio della Nostra Meravigliosa Terra: il Molise.

 

 

I capillari: cosa sono e come si curano

I capillari: cosa sono e come si curano

Nel periodo invernale ci si copre di più per proteggersi dal freddo e si trascorre più tempo a casa per via di un clima non proprio favorevole alle uscite. Due combinazioni perfette per prendersi cura dei nostri capillari visibili che non amiamo e che spesso condizionano anche il nostro look estivo. Trattarli non richiede un trattamento medico molto complesso, ma servono tanta pazienza e dedizione. Qualche mese di sacrificio per poter sfoggiare già in primavera gambe più belle.

 

Cosa sono i capillari

I capillari sono i più piccoli vasi sanguigni del corpo umano (millesimi di millimetro) e sono l'estrema diramazione di arterie e vene. Nel nostro organismo ci sono miliardi di capillari che hanno una funzione importantissima, perché non solo trasportano il sangue fino alle più lontane estremità, ma al loro interno avvengono gli scambi che permettono ai nostri tessuti di nutrirsi e di eliminare le sostanze di rifiuto. I capillari che vediamo sulle nostre gambe sono delle dilatazioni “anomale” di questi vasellini cutanei, dovute alle cause più svariate. Alcuni possono essere il campanello di allarme della presenza di una insufficienza venosa, altri il segno di un’eccessiva imbibizione di liquidi del sottocute o di un sovraccarico degli arti inferiori da posture erette prolungate, sedentarietà, terapie farmacologiche. In queste situazioni, prima di agire sui capillari, occorre indagare la causa e curare il problema che ne è alla base. Nella maggior parte dei casi però non hanno alcun significato clinico, ma semplicemente si può essere più o meno predisposti ad averne e si trattano solo perché non ci piacciono.

 

La scleroterapia: cos'è e come funziona

Fra le armi a disposizione per trattare i capillari c’è la scleroterapia (o terapia sclerosante). La scleroterapia prevede l’iniezione di sostanze sclerosanti sotto forma liquida o di schiuma dentro il capillare dilatato al fine di ottenere la “chiusura” del capillare stesso che tenderà a ridursi e ad essere meno visibile. Generalmente si eseguono multiple iniezioni per seduta ed il numero delle sedute varia in base al quadro iniziale. Possono essere utilizzati diversi farmaci, a concentrazioni variabili a seconda del calibro e della risposta dei vasi da trattare. La quantità di farmaco utilizzabile per la sicurezza del paziente condiziona la quantità di capillari trattabili per seduta. Subito dopo le iniezioni si applicano dei cerottini da tenere in sede per 48 ore e si sovrappone la calza elastica consigliata dallo Specialista. Il trattamento sclerosante può essere accompagnato da una terapia orale con integratori e dall’applicazione di prodotti topici, al fine di ottimizzare e migliorare il più possibile il risultato finale. È ideale effettuare sedute non troppo vicine tra loro, così da dare il tempo ai capillari trattati di ridursi ed avere di seduta in seduta un quadro sempre più definitivo. L’intero percorso terapeutico deve concludersi nel periodo freddo e lontano dall’esposizione al sole, per evitare la comparsa di macchie post – trattamento. Prima quindi di programmare la scleroterapia, è sempre necessario effettuare una visita  c/o uno Specialista, comprensiva di ecocolordoppler, al fine di comprendere meglio quale sia la causa dei capillari stessi e studiare la strategia più adeguata. Dopo un primo anno di lavoro più complesso e lungo, si possono ripetere una o due sedute negli anni successivi di “ritocco” poichè qualche nuovo capillare può dilatarsi e diventare visibile. 

L’intero percorso richiede molta dedizione da parte dello Specialista ma anche tanta pazienza e cura da parte del paziente, che deve seguire le prescrizioni ricevute con grande scrupolosità. Solo in questo modo si possono raggiungere i risultati migliori e sperati, così da poter presto essere felici delle gambe che sembrano più belle.

 

Il mio messaggio per voi

Confesso che dover affrontare un percorso di scleroterapia con un paziente mi mette sempre molto in crisi. Si tratta di una terapia empirica, per cui non esistono protocolli standard e occorre essere molto attenti ai dettagli per comprendere meglio come procedere di seduta in seduta. A volte i risultati arrivano con un po’ di ritardo rispetto a quanto sperato e a volte sono meno belli di quanto avrei voluto. Non è sempre facile far capire a chi vorrebbe gambe al limite della perfezione che per quanto ci si possa impegnare i miracoli non si possono fare. Posso però dire con certezza che quando Specialista e paziente collaborano per un obiettivo comune raramente il risultato sperato non arriva. Con gli anni ho scoperto che poche cose mi rendono felice come il volto della paziente che guarda le sue gambe con stupore dicendomi: “Doc io non ho mai avuto delle gambe così belle, non ci posso credere”. E spesso sorridendo rispondo “Non ci credo nemmeno io!...ci siamo riuscite”.

 

 

Quali sport fanno bene alle nostre gambe e quali no?

Quali sport fanno bene alle nostre gambe e quali no?

Fare sport fa bene a corpo e mente. Quante volte lo avete sentito dire? Vi sembrerà una frase fatta, eppure non c'è formula migliore per descrivere i benefici che l'attività fisica ha sul nostro stato di salute. Il movimento attiva infatti una serie di processi fisici e mentali che danno al nostro corpo nuovi stimoli e ci fanno sentire meglio, i nostri arti inferiori potrebbero addirittura completamente trasformarsi! Bisogna però praticarlo con regolarità e costanza, considerando il momento dell'attività fisica come un piccolo regalo per sè stessi. Non tutti gli sport però fanno bene alle nostre gambe. In questo articolo vedremo come scegliere l'attività più adatta a noi, anche in base alle nostre preferenze e al contesto in cui viviamo.

 

Sport che fanno bene agli arti inferiori

Gli sport che fanno bene alle nostre gambe sono quelli dinamici, che hanno una componente aerobica predominante, perché permettono di utilizzare ritmicamente le pompe muscolari del piede e del polpaccio favorendo il ritorno venoso e linfatico. Prediligete quindi sport che prevedono uno spostamento del corpo, con una bassa intensità e una lunga durata. 

  • Sport in acqua
    "Il nuoto è uno sport completo": espressione perfetta per descrivere i benefici degli sport in acqua. Il nuoto ha infatti due vantaggi: consente di utilizzare tutti i muscoli del corpo e ha un campo di gioco d'eccellenza, l'acqua. Stare in acqua rende il corpo più leggero e permette quindi a tutti di muoversi con facilità e senza particolari rischi. È una delle attività più consigliata per chi ha problemi di insufficienza venosa e linfatica, perché l'acqua compie un vero e proprio massaggio drenante sulle nostre gambe. Se non vi piace nuotare vanno benissimo anche tutte le altre attività che vengono attualmente proposte in piscina: acquafitness, acquatabata, idrobike etc… va tutto benissimo se eseguito in acqua!

  • Camminata/Corsa
    Camminare è un toccasana per i disturbi del sistema cardiocircolatorio e dell'apparato venoso e linfatico. Attiva in maniera costante le pompe muscolari del piede e del polpaccio e consente una respirazione ritmica che poiché effettuata in spazi aperti migliora l’ossigenazione dei tessuti. È preferibile evitare velocità sostenute poiché potrebbero sovraccaricare troppo il cuore. È essenziale però scegliere la scarpa adatta al passo, perché l'appoggio corretto del piede è essenziale per svolgere bene questa attività. Prima di cominciare quindi con le camminate o la corsa, acquistate scarpe nuove chiedendo consiglio ad esperti. Se poi volete ottimizzare ancor più il vostro lavoro, andate a camminare o a correre indossando una calza elastica!

  • Camminata nell'acqua
    La camminata in acqua aggiunge due vantaggi alla camminata su strada: il massaggio drenante e un minore carico sulle articolazioni. È quindi un'attività che consiglio sempre, soprattutto a chi ha problematiche posturali combinate ad insufficienza venosa e linfatica. Una delle mie speranze quotidiane in estate, abitando a Termoli, è di incontrare i miei pazienti che passeggiano in acqua godendosi il mare, il sole e magari un pò di buona compagnia: un vero elisir di salute e felicità!

  • Bicicletta
    Andare in bicicletta, oltre ad essere divertente e aiutare ad evitare il traffico nelle grandi città, attiva moltissimo le pompe muscolari del piede e soprattutto del polpaccio. C'è però da fare una raccomandazione: se soffrite di incontinenza della piccola safena o presentate grosse varici al polpaccio, evitate di andare sulle due ruote, oppure chiedete al vostro medico se è possibile indossare una calza elastica adeguata. È comunque sempre preferibile avere un‘andatura moderata, scegliere strade battute e pianeggianti, evitando le ore del giorno più calde, conservando una buona idratazione.

 

Sport meno indicati per la salute delle nostre gambe

Per chi ha patologie legate al sistema venoso e linfatico, gli sport meno indicati sono quelli che richiedono un lavoro di carico eccessivo sugli arti inferiori o sui muscoli addominali.
Vi riporto alcuni esempi:

  • Sport che comportano sollevamento di pesi: il sovraccarico di peso sui muscoli dell’addome e degli arti inferiori favorisce un aumento della pressione del sistema venoso e linfatico con conseguente sfiancamento delle pareti venose e linfatiche in chi è predisposto.

  • Tennis: i movimenti di questo sport, che prevedono rapide accelerazioni e bruschi stop, generalmente con ginocchia  piegate, mettono a dura prova le nostre gambe, soprattutto perché la durata di un match può essere piuttosto lunga.

  • Sci di fondo e sci di discesa/snowboard: in generale gli sport che comportano di indossare stivali o calzature simili per lungo tempo sono controindicati perché piede e polpaccio mantengono una posizione costante per lungo tempo, esponendo al rischio di trombosi chi è affetto da insufficienza venosa. Ovviamente lo sci di fondo a differenza dello sci di discesa, è più aerobico e per questo preferibile.

  • Sport di squadra come pallavolo, basket e calcio:  soprattutto se giocati a livello amatoriale e quindi non con la dovuta preparazione atletica, espongono i nostri arti inferiori a microtraumi, a sovraccarico muscolare dei muscoli della coscia, a colpi da contatto che a volte possono portare a problematiche più importanti del sistema venoso e linfatico.

Mi sta a cuore sottolineare però che gli sport indicati sopra non sono vietati in maniera perentoria, soprattutto se si è molto appassionati. Bisogna però valutare insieme al medico specialista se ci sono le condizioni ideali per poterli svolgere senza complicazioni e se c’è la possibilità di utilizzare presidi che possono far praticare lo sport desiderato riducendo i rischi ad esso correlati.

 

Il mio messaggio per voi

So quanto sia difficile riuscire ad inserire un’attività sportiva nella propria quotidianità. Spesso ci sembra manchi il tempo per respirare, figuriamoci per fare una corsetta! Io stessa riesco a fatica ad essere costante nonostante conosca tutti i benefici che la pratica di determinati sport apportano alla nostra salute fisica e mentale. Ma dobbiamo provarci, io per prima, a riuscire a ritagliare del tempo e a volte a vincere un pò la pigrizia, per rendere lo sport che più ci piace parte integrante e insostituibile della nostra routine. Il nostro corpo ci ringrazierà, il nostro umore sarà alle stelle, saremo più efficienti nelle nostre attività della giornata abituali e perdere peso sarà facilissimo. Possiamo farcela!

 

 

Calza elastica, come sceglierla?

Calza elastica, come sceglierla?

La calza elastica è un presidio medico indispensabile nella prevenzione e nel trattamento delle patologie del sistema venoso e linfatico ed in generale per il trattamento della maggior parte degli edemi degli arti inferiori.

Spesso purtroppo vengono considerate solo delle calze più strette che danno sollievo alle gambe pesanti ed invece la calza elastica rappresenta un vero farmaco. Per questo motivo andrebbero sempre prescritte da un specialista e acquistate in centri che hanno personale adeguatamente dedicato e formato nella consulenza sull'acquisto di questi presidi medici.

L’idea di questo articolo nasce proprio dalla mia necessità di fornire informazioni più corrette e per fare un po’ di chiarezza nella gran confusione che esiste sull’utilizzo di questo ausilio così utile. Chissà, piano piano riuscirò a convincervi che fare un piccolo sacrificio indossandole quotidianamente è un grande regalo per le nostre gambe, da noi spesso troppo trascurate.

 

Cos'è

La calza elastica è un presidio medico realizzato in materiale elastico che, attraverso una pressione decrescente dalla caviglia alla coscia, migliora il deflusso venoso e linfatico e indirettamente anche la funzionalità del microcircolo cutaneo.

È costituita da un filo di trama, disponibile in diversi materiali, come microfibra, cotone, fibre sintetiche, caucciù. Può essere inoltre realizzata con sistemi differenti, in base al tipo di pressione che deve esercitare. Avremo così una trama piatta o una trama circolare. In commercio sono disponibili modelli da donna e modelli da uomo, nei formati più disparati: gambaletto, collant, autoreggente, monocollant, collant premaman etc... ed ogni modello può essere acquistato con punta del piede aperta o con punta del piede chiusa. Nel tempo le aziende produttrici si sono dedicate a curare molto più anche gli accorgimenti estetici, lavorando sui filati, sui colori e addirittura anche sui dettagli. Attualmente è molto frequente ad esempio trovare calze elastiche abbellite con strass, con varie fantasie e piccole decorazioni.

 

A cosa serve

La calza elastica è indicata in tutte le patologie del sistema venoso e linfatico ed in generale per il trattamento della maggior parte degli edemi. La pressione decrescente esercitata dal basso verso l’alto permette a sangue e linfa di defluire verso il cuore più facilmente e di conseguenza anche a liquidi e proteine di ristagno di essere riassorbiti più velocemente e nel modo adeguato. È quindi utile sia nelle condizioni quasi fisiologiche, come gli edemi da stasi, che si generano in seguito a sedentarietà, lavori che impongono posizione seduta o eretta prolungata, lunghi viaggi in aereo etc, sia in presenza di patologie più importanti come vene varicose, ulcere, trombosi venose superficiali e profonde, lipedemi, linfedemi di vario stadio.

 

Tipologie

La calza elastica in quanto tale viene definita dalla compressione che riesce a generare e quindi in mmHg, millimetri di mercurio, l’unità di misura della pressione. Generalmente per descriverle si indica la pressione esercitata alla caviglia, che è la massima che possono esprimere. Non si può definire una calza elastica in denari (dèniers), perché sono la misura dello spessore del tessuto e non danno alcuna informazione sulla pressione esercitata. Esistono diverse tipologie di calza elastica proprio perché possono essere utilizzate per il trattamento di differenti patologie.

Una prima classificazione permette di suddividerle in 3 grandi gruppi:

  • calze preventive
  • calze antitrombo
  • calze terapeutiche

Le calze preventive sono dei tutori elastici che hanno una compressione massima alla caviglia che va dai 14 ai 18 mmHg. La loro costruzione non è sottoposta al controllo di un organismo di certificazione, possono quindi essere vendute senza prescrizione medica e sono un prodotto di uso comune. Possono aiutare in tutte quelle condizioni in cui le gambe sono lievemente gonfie e stanche a causa di posture lavorative statiche prolungate, viaggi in aereo, sedentarietà. 

Le calze antitrombo sono le famose calze bianche che si indossano per la prevenzione delle trombosi post – intervento di chirurgia ortopedica, ginecologica o comunque nei casi che richiedono allettamenti prolungati. Sono un tutore che ha una costruzione diversa dalle calze preventive e terapeutiche poiché esprime una maggiore pressione in alcune zone dell’arto per ottenere un’efficacia antitrombotica. Non ha alcun senso indossare una calza elastica antitrombo se si ha la possibilità di deambulare regolarmente.

Le calze terapeutiche sono i tutori necessari per il trattamento delle patologie venose e linfatiche e per gli edemi importanti. Sono dei veri e propri dispositivi medici e devono rispondere a criteri di fabbricazione e qualità definiti da apposite normative. La maggior parte delle aziende produttrici europee si attiene alla normativa RAL – GZ 387 che suddivide le calze elastiche in 4 classi di compressione:

 

 

Le calze terapeutiche sono disponibili sia nelle taglie standard che su misura. Il tutore su misura deve ovviamente essere confezionato sulla base di attente valutazioni dell’arto ed ha un costo più elevato. La calza terapeutica ha una certificazione che garantisce la compressione indicata per 6 mesi, indossata quotidianamente, a patto che si rispettino le indicazioni di lavaggio e asciugatura. È fondamentale che la calza elastica sia della misura giusta e indossata adeguatamente affinché possa esprimere al meglio i benefici del trattamento.

 

Il mio messaggio per voi

Confesso che il titolo di questo articolo è un po’ provocatorio… poiché in realtà la calza elastica dovrebbe essere scelta SOLO dal medico che la consiglia. Per ogni patologia ci sono delle indicazioni ben precise sul tipo di calza da indossare e sulla classe di compressione necessaria. Spesso però mi trovo a dover cercare compromessi per questa scelta a causa di motivazioni che esulano dalle indicazioni terapeutiche: mancanza di assistenza nell’indossarla, scarsa tolleranza nel portarla, costo considerato elevato etc… e questo rende tutto più complicato, poiché un compromesso non porta mai al massimo dei risultati. Sono un medico è vero, ma anche una donna, una figlia, una nipote, una sorella, un’amica e conosco per questo tutta la complessità che può esserci dietro la gestione di una calza elastica. Eppure, proprio da donna, da figlia, da nipote, da sorella, da amica continuo a consigliare ogni giorno questo presidio terapeutico così tanto utile e praticamente quasi privo di controindicazioni. In sede di visita, concludo sempre il mio discorso sulla calza elastica dicendo “d’altronde non le sto chiedendo di andare sulla luna, ma semplicemente di indossare una calza”.

 

 

L'Intervista. Lipedema e Alimentazione: ne parliamo con la Dott.ssa Sara Rucci

L'Intervista. Lipedema e Alimentazione: ne parliamo con la Dott.ssa Sara Rucci

Come sapete, le patologie di cui mi occupo richiedono spesso la collaborazione di diversi specialisti per raggiungere i risultati attesi dal programma terapeutico. 

L'obiettivo è creare un team di professionisti selezionati da poter coinvolgere con facilità nei casi da trattare per garantire ai pazienti un percorso sereno nell'affrontare la patologia dalla quale sono affetti.
In una precedente intervista, vi ho presentato la dott.ssa Marina Viberti, fisioterapista esperta in linfodrenaggio. In questo colloquio conosceremo invece la Dr.ssa Sara Rucci, Biologa Nutrizionista, e con lei parleremo di lipedema e di come un’alimentazione adeguata sia elemento essenziale del programma terapeutico per trattarlo.

 

Perché l’alimentazione è così importante nel trattamento del lipedema?

Le cause primarie del lipedema non sono ancora ben chiare, ma si conoscono i fattori che contribuiscono al suo sviluppo, alla sua progressione e all’instaurarsi di complicanze che possono peggiorare in maniera sostanziale la qualità della vita delle pazienti:  

  1. crescita anomala del tessuto adiposo
  2. alterazioni nella segnalazione degli ormoni sessuali femminili (estrogeni)
  3. alterazione del drenaggio tissutale e danni a carico dei vasi
  4. aumento dell’infiammazione locale

Tutti aspetti sui quali la nutrizione può dare un aiuto importante. È però necessario un cambio di mentalità. Non bisogna pensare ad approcci dietetici esclusivamente restrittivi, che si rivelano spesso fallimentari perché, anche quando efficaci in termini di “perdita di peso”, portano ad un peggioramento della disproporzione tra parte alta e parte bassa del corpo, tipica del lipedema. Ciò avviene poiché nelle scelte nutrizionali non si tiene conto della difficoltà di dover lavorare su un tessuto adiposo non sano e in un certo senso “inaccessibile”. 

 

Quali caratteristiche deve avere l’alimentazione della paziente con lipedema?

Elaborare un piano alimentare per una paziente con lipedema richiede un’attenta personalizzazione. Bisogna concordare con la paziente i suoi obiettivi e cosa è disposta a fare per raggiungerli, valutare eventuali altre patologie o disturbi da cui può essere affetta e calare nella sua realtà quotidiana la strategia che si sceglie di mettere in campo. 
È possibile però definire dei tratti comuni:

  • Attenzione alla qualità dei cibi: evitare alimenti conservati e industriali e preferire alimenti freschi e di stagione, carni da animali allevati al pascolo, pesce pescato e uova da allevamento biologico (codice 0). Queste scelte indicate per la salute della popolazione generale, nelle pazienti con lipedema diventano irrinunciabili
  • Evitare cibi ricchi in estrogeni (soia e derivati, carni da allevamenti intensivi, ecc.) e materiali in grado di rilasciare sostanze che interagiscono con i recettori di questi ormoni, i cosiddetti interferenti endocrini. Restando nell’ambito dell’alimentazione, evitare le stoviglie in plastica sostituendole con materiali inerti come il vetro e la ceramica
  • Impostazione di una strategia che abbia forte azione antinfiammatoria. Oltre alle scelte qualitative già citate, bisognerà mantenere un buon rapporto tra omega 3 e omega 6 e contrastare l’insulino-resistenza, fenomeno alla base della gran parte dei disturbi del nostro tempo, che gioca un ruolo importante nell’ iinfiammazione. Bisogna pertanto mantenere bassi livelli (e se possibile molto bassi) di zuccheri semplici e moderati livelli di carboidrati complessi, preferendo le proteine e i grassi buoni

 

Quali sono le diete che possiamo considerare anti-infiammatorie?

Sono diversi gli approcci anti-infiammatori che si sono dimostrati utili nel lipedema: la dieta Paleo, la dieta RAD, la dieta mediterranea modificata e, dulcis in fundo, la più promettente: la dieta chetogenica. La dieta chetogenica ha lo svantaggio, a mio parere, di essere al momento considerata “di moda” e per questo spesso abusata e non adeguatamente cucita addosso ai pazienti. Si tratta infatti più che di una dieta, di una grande classe di diete accomunate dal basso contenuto in carboidrati (inferiore a 50 g o in alcuni casi a 30 g al giorno) e per lo più iperlipidiche. È uno strumento dalle molteplici applicazioni, molto potente se gestito correttamente ma che può rivelarsi anche dannoso se applicato senza conoscerne le controindicazioni e le accortezze necessarie per permettere al paziente di trarne tutti i benefici. Quando si propone la dieta chetogenica alla paziente con lipedema, bisognerà tener conto di tutti gli elementi che intervengono nell’instaurarsi della patologia e che vanno contrastati:

  • evitare di sovraccaricare il sistema linfatico, per cui bisognerà scegliere adeguatamente la tipologia di grassi da introdurre, preferendo quelli a corta e media catena (es. burro chiarificato, olio di cocco, avocado)
  • permettere al fegato di svolgere al meglio la sua attività di centralina del metabolismo e di detossificazione introducendo, ad esempio, una buona quantità di crucifere (come broccoli e cavoli) e alimenti ricchi in omega 3 (come il pesce azzurro e le noci)
  • preservare o ripristinare l’integrità della mucosa intestinale e i delicati equilibri del microbiota intestinale (l’insieme dei batteri che popolano quest’organo fondamentale). In quest’ultimo caso gli aspetti da valutare sono davvero molti. Per semplicità possiamo dire che è buona prassi introdurre alimenti prebiotici (tra cui le fibre) e probiotici (prodotti fermentati come yogurt, kefir, crauti, ecc.) ma ogni caso va valutato singolarmente. È molto frequente che la paziente con lipedema sia anche affetta da disturbi intestinali e sensibilità ad alcuni alimenti e tra questi il glutine. È inoltre particolarmente frequente la presenza di ipotiroidismo che richiede ulteriori accortezze. 

 

Cosa direbbe ad una paziente con lipedema?

Come abbiamo visto, l’alimentazione per la paziente con lipedema è tutt’altro che banale. Non appena avuta la diagnosi, soprattutto se si ha la fortuna di averla quando non sussiste una condizione di sovrappeso o obesità, è possibile evitare molte delle complicanze della patologia. Attraverso un intervento personalizzato che mi piace definire “sartoriale” si può costruire un’alimentazione che aiuterà la paziente a stare sempre meglio cercando di andare incontro alle sue necessità dal punto di vista organizzativo e sociale e anche alle sue preferenze.  In tempi relativamente brevi le pazienti riferiscono una totale remissione del dolore e pian piano osservano il cambiamento dell’aspetto delle loro gambe con stupore.  Per noi professioniste, far raggiungere questi obiettivi è un’immensa soddisfazione soprattutto perché si tratta spesso di pazienti disilluse da precedenti percorsi terapeutici fallimentari e che da tempo vivono il proprio corpo con disagio. Noi crediamo che vadano guidate e supportate con la delicatezza che merita chiunque abbia un problema di salute e stia cercando un supporto concreto. Il loro sorriso ci dice che siamo sulla strada giusta.   

 

Vi racconto come ci siamo incontrate...

Mi piacerebbe tanto riuscire a raccontarvi il giorno in cui io e la Dr.ssa Rucci ci siamo conosciute, ma ahimè è così lontano che ormai non lo ricordo più!
Eravamo due ragazzine di forse 12 anni più o meno che iniziavano a giocare a pallavolo e che non sapevano che avrebbero trascorso la vita insieme. Una vita da agoniste anche nel lavoro... fianco a fianco con immensa stima reciproca per combattere insieme per una causa comune: provare ad aiutare ogni giorno e con ogni mezzo a noi possibile chiunque varchi la porta del nostro studio con la speranza di trovare una soluzione al proprio problema.

 

Riferimenti della Dott.ssa Sara Rucci
Biologo Nutrizionista Laurea di II livello in Scienze della nutrizione umana
Master in nutrizione e fitness sportivo
Riceve su appuntamento: 329 564 28 04

 

Trattamento integrato del lipedema degli arti inferiori: unica strada per il successo terapeutico

Trattamento integrato del lipedema degli arti inferiori: unica strada per il successo terapeutico

Quante volte vi è capitato di dire o di sentir dire “ho le gambe grosse di costituzione” oppure “dimagrisco sopra ma le gambe restano sempre uguali” oppure “ho le gambe di mia mamma”? Spesso però ciò che sembra essere una condizione di “predestinati” non è altro che una patologia non diagnosticata o poco conosciuta. È quanto accade nella maggior parte dei casi di lipedema, argomento a me molto caro.
Vedremo insieme cos’è, come riconoscerlo e soprattutto come trattarlo, poiché la sua cura richiede tanto impegno e dedizione.

Lipedema: cos’è

Il lipedema è una patologia cronica, di natura genetica, dalla quale non si guarisce ma che si può tenere sotto controllo ed evitare che progredisca in maniera eccessiva.  Colpisce il connettivo sottocutaneo, nel quale si manifesta una bizzarra e variabile proliferazione di tessuto adiposo, in associazione o come conseguenza di un’infiammazione cronica del connettivo stesso. I dati relativi alle cause sono ancora poco chiari.  È  molto più frequente nelle donne e probabilmente ha una grande correlazione con l’azione degli ormoni sessuali. Compare infatti durante la pubertà e peggiora generalmente in gravidanza o in menopausa.

La diagnosi

Riconoscere il lipedema non è semplice, anche perché non ci sono ancora protocolli diagnostici da seguire o indagini strumentali che possono aiutare. La diagnosi è puramente clinica, si basa sullo studio della distribuzione e dell’aspetto del tessuto adiposo e soprattutto sulla sintomatologia riferita. Il quadro tipico è caratterizzato dal lipedema degli arti inferiori, che coinvolge soprattutto l’arto dal ginocchio in giù, dando alla gamba un aspetto “a tronchetto”,  senza mai interessare il piede. Le gambe sono molto dolenti anche alla minima pressione, presentano ecchimosi che si formano in seguito a piccole sollecitazioni e che durano per molto tempo, sembrano essere molto pesanti e a volte si ha anche difficoltà a riposare durante la notte.
Negli stadi più avanzati compaiono edema e ristagno linfo – venoso, la cute diventa fragile, tende ad infiammarsi facilmente e possono comparire complicanze come ulcere e linfangiti. Con gli anni, se non curato,  il paziente ha difficoltà a deambulare e può arrivare a quadri di elefantiasi. Il consiglio è di rivolgersi ad uno specialista che, con una visita accurata e in base alla propria esperienza, può riuscire ad individuare la patologia. 

Il trattamento

La terapia per il lipedema è davvero molto complessa. Prevede la collaborazione di più figure specialistiche e grande tenacia e dedizione dei pazienti, che spesso arrivano in ambulatorio dopo aver tentato i più svariati trattamenti. Il primo obiettivo da raggiungere per chi ne è affetto è la comprensione del problema, poiché si tratta di una patologia cronica, da cui non si guarisce. Si può però migliorarne molto l’aspetto e i sintomi e si deve soprattutto evitarne l’evoluzione che può diventare invalidante.

Il programma terapeutico più efficace prevede un protocollo di lavoro di  Fisioterapia Complessa Decongestiva, quindi drenaggio linfatico manuale, idrokinesiterapia, esercizio fisico sia dinamico che di lavoro sul tono muscolare, confezionamento di bendaggi elastocompressivi, utilizzo di tutori elastici dedicati. A questo, va associato uno schema di integrazione a base di sostanze decongestionanti e antiinfimmatorie come bromelina, curcuma, ippocastano, centella. È fondamentale seguire un piano alimentare per il controllo del peso, poiché il sovrappeso è uno dei fattori che maggiormente incide sulla progressione della patologia stessa. La terapia prevede generalmente una prima fase di lavoro intensivo al fine di raggiungere il miglior risultato clinico possibile e una seconda fase di mantenimento, in cui il paziente impara a gestire e a convivere con il lipedema.
In alcune condizioni cliniche particolari, in cui la patologia è agli stadi più avanzati e compromette la deambulazione, può essere consigliata la liposuzione, che deve però essere eseguita da esperti del lipedema. Come si può facilmente intuire,  è molto impegnativo per il paziente seguire tutto il percorso di lavoro consigliato, sia dal punto di vista organizzativo sia  dal punto di vista economico. Nella maggior parte dei casi lo specialista cerca il miglior compromesso possibile per ottenere quanti più risultati in poco tempo e ai minor costi, poiché purtroppo ancora non esiste una cura standardizzata i cui risultati sono certi.

  

Il mio messaggio per voi

Ultimamente scherzo spesso con i miei collaboratori dicendo che il nostro obiettivo è di vincere il Premio Nobel per la Medicina grazie alla scoperta della cura per il lipedema… una battuta ovviamente, ma solo perché le nostre cene, le nostre pause caffè, le nostre telefonate sono ormai incentrate quasi completamente su questo.
“Quale integratore possiamo inserire”, “quale piano alimentare è il più indicato in questo caso”, “quante sedute settimanali di linfodrenaggio sono necessarie con questa clinica”, “hai letto quel nuovo articolo”, “ti invio subito questa pubblicazione” … e così via a ragionare insieme sul lipedema per ore ed ore ed ore.
Abbiamo provato ogni sorta di programma alimentare anche su noi stesse, testato i più svariati integratori per capirne le sottili differenze. Portiamo calze elastiche di tutte le compressioni e modelli nel tentativo di essere di aiuto con la nostra esperienza personale e siamo disposte a stare interi giorni con bendaggi sulle gambe per capire come migliorarne l’efficacia. Spesso ci sentiamo stanche, perché le pazienti stesse lo sono e hanno difficoltà ad andare avanti con il trattamento… e poi ci sono i momenti di gioia infinita nel vedere una coscia e una gamba completamente trasformate e il volto della paziente che torna a sorridere dopo averla salutata quasi in lacrime al momento della diagnosi. 
Non si tratta di una patologia per cui si rischia la vita, ma è anche vero che può modificare molto la qualità della vita stessa. Il sorriso di una paziente che ha ritrovato la serenità nella sua femminilità vale tutto il lavoro speso per vederlo.

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La Trombosi Venosa Superficiale: cos’è e come trattarla

Come già anticipato nell’articolo di Maggio, l’arrivo del caldo è purtroppo il momento più complicato per i nostri arti inferiori e la probabilità di sviluppare una complicanza dell’insufficienza venosa cronica (ulcere, trombosi, emorragie etc…) diventa molto alta.
Dopo aver cercato di capire meglio cos’è un’ulcera e come curarla, proviamo a fare chiarezza su cos’è una Trombosi Venosa Superficiale (TVS), più comunemente chiamata “flebite”. La Trombosi Venosa Superficiale (TVS) è l’infiammazione di una vena del nostro sistema venoso più superficiale. Colpisce maggiormente gli arti inferiori, coinvolgendo la Vena Grande Safena nella maggior parte dei casi (60 – 80%), meno la Vena Piccola Safena (10% - 20%) o altre vene collaterali (10 – 20%). Può tuttavia svilupparsi, anche se molto più raramente, negli arti superiori e sull’addome. Le donne sono più colpite degli uomini, l’età media è approssimativamente intorno ai 60 anni. 

Le cause

La causa principale della TVS degli arti inferiori è la presenza di vene varicose. Il sangue all’interno di una vena varicosa ristagna e tende a formare un piccolo trombo che rende la vena stessa un cordoncino duro e molto dolente, diventando ben visibile sulla zona interessata, che tende ad arrossarsi.
Nelle TVS senza fattori di rischio evidenti, migranti o ricorrenti, e in assenza di vene varicose, si può sospettare la presenza di condizioni patologiche sottostanti quali malattie autoimmuni, tumori, trombofilia congenita.
Ulteriori fattori predisponenti possono essere obesità, gravidanza, contraccezione orale, terapia ormonale sostitutiva, lunghi viaggi in aereo, chirurgia recente.
Se notate la comparsa di tumefazioni o avvertite dolore in corrispondenza di una vena e avete uno dei fattori di rischio sopraelencati, il consiglio è di rivolgersi a uno specialista per effettuare una visita di controllo.

La Diagnosi

La diagnosi della Trombosi Venosa Superficiale viene stabilita prima di tutto sulla base dei segni clinici: dolore localizzato, indurimento, calore e rossore lungo il decorso anatomico della vena superficiale e/o presenza di un cordone palpabile.
L’esame ultrasonografico, l’ecocolordoppler, permette poi di confermare la diagnosi clinica, consente di misurare l’estensione del trombo e la sua localizzazione rispetto ai collegamenti con il sistema profondo.

Le complicanze

Le complicanze tromboemboliche rappresentano il principale problema delle TVS, anche se la frequenza di associazione è ancora controversa. Può succedere che il trombo presente nella vena superficiale si estende progressivamente al sistema venoso profondo attraverso la giunzione safeno – femorale o safeno – poplitea o attraverso le vene perforanti. In questo caso, il rischio di embolia polmonare ovviamente è molto più alto.
Per questi motivi, la Trombosi Venosa Superficiale è una condizione clinica che va trattata nel più breve tempo possibile, sia per prevenire l’estensione del processo trombotico ai vasi venosi profondi, sia perché comporta grande disagio per il paziente a causa di una sintomatologia all’esordio spesso invalidante.

Il trattamento

Nella maggior parte dei casi, la TVS regredisce in pochi giorni. Per contrastare il dolore ed evitare l’eventuale comparsa di febbre si interviene con l’utilizzo dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Indossare immediatamente una calza elastica idonea accelera il processo di riassorbimento del piccolo trombo, riduce il gonfiore ed il rischio di peggioramento del quadro iniziale. Per ridurre l’infiammazione, è indicato assumere flebotropi a base di diosmina, troxerutina, centella, bromelina, sostanze naturali che hanno, tra le altre, anche proprietà antinfiammatorie. In presenza di TVS molto estese si utilizzano Eparine a Basso Peso Molecolare (EBPM).
Per favorire il processo di guarigione, è indispensabile fare lunghe passeggiate. In questo modo si evita il ristagno del sangue all’interno del circolo venoso e se ne accelera il flusso, così che il trombo possa riassorbirsi più velocemente.

Ma come già sapete, concedersi camminate con regolarità è un toccasana in ogni situazione ed è quindi ideale acquisire questa abitudine per aiutare il nostro corpo a stare bene!

  

Il mio messaggio per voi

Credo che la parola “flebite” sia in assoluto tra le più gettonate in ambito medico. Sono certa che a chiunque tra voi sia capitato almeno una volta di sentirsi dire, in risposta ad un banale “ho male ad una gamba” di stare attenti perché “forse è una flebite”.
Al contrario però di quanto si pensi, la flebite non è così comune, ma nella maggior parte dei casi viene confusa con altri disturbi. Paradossalmente, potrei dire che di 20 pazienti che varcano la porta del mio ambulatorio per una sospetta flebite, ne confermo la diagnosi a uno solo (a volte nemmeno)!
Come avete potuto leggere, la flebite ha dei sintomi ben precisi e se resta localizzata non è nemmeno una patologia per cui allarmarsi troppo. Va sicuramente trattata con tempestività e nel modo più corretto, ma non deve generare ansia!
E, cosa ancora più importante: ha un esordio ed una guarigione. Non esistono flebiti che durano da 10 anni!
Spero di essere riuscita a fare un po’ di chiarezza su questo grande “spauracchio” della medicina. Ora più che mai, visto che,  in piena campagna vaccinale anti – Covid, è diventato argomento delle più svariate conversazioni.

I benefici dell’acqua per il trattamento dell’edema: alcuni consigli per l’estate

I benefici dell’acqua per il trattamento dell’edema: alcuni consigli per l’estate

L’estate è arrivata e, sebbene sia una stagione meravigliosa, per i nostri arti inferiori è la più difficile da affrontare. L’aumento delle temperature, infatti, favorisce la vasodilatazione periferica e le gambe tendono più facilmente a gonfiarsi, sembrano più stanche e pesanti e spesso la sera l’unica soluzione che ci viene in mente è quella di metterle in frigo!
Il gonfiore e il conseguente aumento del dolore rendono un’impresa da eroi anche indossare la calza elastica e a volte sembra un miraggio infilare i nostri sandali gioiello preferiti per trascorrere una serata rilassante tra amici.
Come possiamo provare ad evitare tutto questo e goderci al meglio la bella stagione? Usiamo il mare e lasciamoci coccolare dai benefici dell’acqua! 

 

I benefici dell'acqua

L’acqua è un elemento prezioso per il nostro benessere e ci aiuta sia fisicamente sia psicologicamente a curare molte patologie legate al sistema venoso e linfatico. L’esercizio in acqua, grazie alle infinite proprietà chimico – fisiche di questo elemento, permette di raggiungere molti dei seguenti obiettivi:

  • diminuzione del dolore e del senso di pesantezza
  • prevenzione delle deformità e delle contratture
  • mantenere o aumentare la forza e il ROM (Range of Motion)
  • favorire il cammino indipendente e l’autonomia negli spostamenti e nelle attività funzionali
  • migliorare la forma dell’andatura, la postura, la biomeccanica del corpo e il metabolismo dei tessuti
  • ridurre spasmi e contratture muscolari, la reazione abnorme allo stiramento, l’edema e le insufficienze respiratorie
  • aumentare la coordinazione

La terapia in acqua, affiancata al trattamento con bendaggi e con esercizi “a secco” sta finalmente prendendo piede anche in Italia ed è chiamata idrokinesiterapia. Attualmente è utilizzata soprattutto nelle fasi post – intervento in chirurgia ortopedica con risultati estremamente positivi, ma sono moltissime le strutture che piano piano stanno allargando i propri campi di applicazione.

 

Consigli per esercizi al mare

Se avete la possibilità di raggiungere il mare, non lasciatevi sfuggire l’occasione di una terapia a cielo aperto e completamente naturale, per dare al vostro fisico e alla vostra psiche una ritrovata serenità! Si tratta di esercizi di base per aiutare il corpo a muoversi con maggiore libertà che ovviamente non sostituiscono il trattamento con il professionista, ma possono coadiuvarlo.
Cominciate dalle camminate in acqua alta, fino almeno all’ombelico, su fondo sabbioso, che permettono di attivare le pompe muscolari degli arti inferiori in modo molto più efficace di quanto non riesca la camminata su strada. Il corpo in acqua è più leggero e quindi sentirete subito una sensazione di relax su tutto il corpo, che vi consentirà il movimento senza alcuno sforzo.
L’esercizio in acqua infatti, consente di effettuare i movimenti in assetto di galleggiamento che determina la riduzione del peso corporeo perché l’acqua, per il principio di Archimede, tende a spingere il corpo verso l’alto. Questo comporta una agevole deambulazione anche alle persone obese o che hanno patologie da sovraccarico del rachide, dell’anca, del ginocchio e della caviglia: in acqua è possibile spostare il corpo senza gravare troppo sulle articolazioni. La pressione idrostatica invece  “spreme” cute e sottocute con una forza che diminuisce man mano che si sale dalla caviglia alla coscia, funzionando come una calza elastica o come un drenaggio linfatico manuale.
Lo stato di benessere totale che vi troverete a vivere è fondamentale anche dal punto di vista neurofisiologico, perché il vostro corpo produrrà le β- endorfine, gli ormoni del piacere, che faranno scomparire la sensazione di stanchezza, il dolore localizzato, il formicolio e tutti quei sintomi derivanti dal sovraccarico del sistema linfatico e venoso.
Quando la camminata in acqua alta è diventata per voi facile da eseguire con costanza, potete introdurre piccoli esercizi per ottimizzare i risultati, come sollevare in modo alternato gli arti (come in una marcia) o allungare la falcata. Se riuscite ogni tanto sollevatevi sulle punte e fate qualche passo in questo modo e quando l’acqua non avrà più segreti per voi potrete passare ad esercizi un pochino più complicati come mantenere posture prolungate per qualche minuto (per esempio prima su un piede e poi su un altro).

Se infine avere l’acqua fino alle spalle non vi genera disagio, potete sfruttarne i benefici anche per migliorare la motilità di spalle e braccia, magari roteandole in modo alternato, o sollevandole per brevi ripetizioni.

Vi posso garantire che, se non riuscite a fare gli esercizi, anche solo 30 minuti di camminata relax al giorno in acqua fino all’ombelico, migliora moltissimo il drenaggio dei tessuti, il tono muscolare e anche quello dell’umore, soprattutto se con voi passeggia qualcuno che vi fa divertire!

  

Il mio messaggio per voi

Ho la fortuna di essere nata in una città che ha il suo cuore in una rocca nel mare. Il “mio mare” è bello, pulito, tranquillo e ancora non troppo affollato. Condizioni ideali per usarlo come terapia! Di solito, ai pazienti che vengono a fare una visita da Aprile a Ottobre concludo sempre dicendo che abbiamo la possibilità di sfruttare un farmaco immenso, che non ha un costo né un tempo né uno spazio…è solo lì ogni giorno ad ogni ora ad aspettarci e si chiama “mare”…perché non assumerlo quotidianamente??

 

Ulcera venosa: come ottenere risultati a breve termine

Ulcera venosa: come ottenere risultati a breve termine

L’arrivo del caldo è il momento più complicato per i nostri arti inferiori. Le gambe si gonfiano e diventano pesanti, le vene si dilatano più del solito e la probabilità di sviluppare una complicanza dell’insufficienza venosa cronica (ulcere, trombosi, emorragie etc…) diventa molto alta. Per questo motivo, durante il periodo estivo vi parlerò un po’ meglio di queste eventualità, di come curarle e soprattutto di come poterle prevenire!
Cominciamo dall'ulcera venosa, la complicanza più difficile da trattare e anche, purtroppo, la più dolorosa.

 

Cos'è l'ulcera venosa?

L’ulcera è una lesione cutanea cronica che non tende alla guarigione spontanea, che non scompare prima di 6 settimane e che recidiva con elevata frequenza.
L’ulcera venosa è una complicanza dell’insufficienza venosa cronica. Ha una forma prevalentemente circolare o ovale e si presenta solitamente come una perdita di sostanza, con il fondo ricoperto da un liquido giallastro, con margini ben definiti e circondati da cute rossa, scura e dura. Può variare in dimensioni e sede, ma generalmente si sviluppa nella regione mediale del terzo inferiore di gamba, poco più su della caviglia nella parte interna. L’intensa risposta infiammatoria prolungata che scatena genera danno alle strutture nervose locali e di conseguenza aumento della sensibilità e del dolore, che diventa molto intenso anche al minimo stimolo.

 

Come si forma e perché

L’insufficienza venosa cronica non trattata, comporta ristagno di sostanze tossiche per la cute e difficoltà di azione delle difese immunitarie locali. La pelle diventa quindi molto esposta a ferite che inizialmente sono piccole e banali e che poi tendono a peggiorare di giorno in giorno diventando sempre più grandi, profonde e dolorose. Queste lesioni possono restare aperte per anni e diventare la routine per il paziente che ne è affetto. Quando, invece, un’ulcera guarisce, nella sede della lesione la cute viene sostituita da una cicatrice, che a volte può essere piuttosto estesa. La zona della cicatrice è meno elastica della cute normale e quindi può, ancora più facilmente, diventare una nuova ulcera, innescando così un circolo vizioso che rende per questo il problema ancora più difficile da gestire.  

 Ulcera venosa

 

Trattamento

Le ulcere venose rappresentano, da sole o in associazione, ben il 75% di tutte le lesioni trofiche dell’arto inferiore e nonostante queste stime, spesso purtroppo vengono trascurate o curate in modo del tutto inadeguato.
Il trattamento di un’ulcera venosa ha diversi obiettivi:

  • a guarigione della lesione 
  • il miglioramento della qualità della vita del paziente
  • la prevenzione delle recidive


La guarigione della lesione prevede un approccio integrato, poiché bisogna trattare la causa, ovvero l’insufficienza venosa cronica, e spesso l’edema di gamba che ne consegue.
Bisogna inoltre riuscire a mantenere la lesione pulita e a stimolarla a formare una nuova cute. Per questo è necessario assumere farmaci o integratori che aiutano il microcircolo e la riduzione dell’edema, è indispensabile utilizzare una compressione elastica che può essere un bendaggio o una calza a seconda del quadro clinico ed è ideale far medicare la lesione da personale esperto che conosce la gestione delle varie medicazioni a disposizione per le varie fasi di guarigione.
Se necessario si possono effettuare innesti di cute in centri specializzati. Affinché la qualità della vita migliori è bene impostare una buona terapia del dolore, se possibile, e soprattutto cercare di sostenere il paziente durante il percorso di guarigione, che spesso è complicato e fatto di alti e bassi, incoraggiandolo e convincendolo che piano piano andrà sempre meglio.
Per prevenire le recidive, dopo la guarigione, bisogna insegnare al paziente come gestire l’edema con un’adeguata calza elastica, se è possibile bisogna correggere l’insufficienza venosa cronica ed è fondamentale mantenere la cute delle gambe sempre ben nutrita ed idratata. È di ulteriore aiuto mantenere il peso ideale, svolgere costante attività fisica e seguire un’alimentazione corretta.

 

Il mio messaggio per voi

In Italia, secondo gli ultimi dati dell’Associazione Italiana Ulcere Cutanee, ci sono più di 2 milioni di persone che nel corso della loro vita soffriranno di lesioni cutanee croniche. Ogni volta che un paziente con ulcera varca la soglia del mio ambulatorio inizia per me una grande sfida. Di solito, prima ancora di iniziare la visita, faccio sedere la persona che ho di fronte e le chiedo “quanto vuole impegnarsi per guarire?”
Da quel momento iniziamo insieme un percorso, a volte breve, a volte lungo, a volte facile, a volte difficile, ma che per la sua intensità resta in me per sempre…

 

 

Parliamo di linfodrenaggio con la fisioterapista Marina Viberti

L'intervista. Parliamo di linfodrenaggio con la dott.ssa Marina Viberti

Le patologie di cui mi occupo richiedono spesso la collaborazione con diverse figure professionali affinché il programma terapeutico necessario a trattarle porti il risultato sperato.
L'obiettivo è creare un team di professionisti di eccellenza a cui afferire facilmente così da garantire ai miei pazienti la serenità necessaria per affrontare la patologia da cui sono affetti.
Trovarne non è semplice… ma qualcuno sono riuscito a scovarlo ed è già all’opera nel mio studio!
Ve li presenterò piano piano, così da raccontarvi insieme come lavoriamo in ambulatorio.
Oggi cominciamo dalla Dr.ssa Marina Viberti, fisioterapista esperta in Drenaggio Linfatico Manuale sec. Scuola Vodder e nuove tecniche per il trattamento delle patologie flebo – linfatiche degli arti inferiori e superiori.

 

Cos’è il Drenaggio Linfatico Manuale?

Il Drenaggio Linfatico Manuale (DLM), più comunemente chiamato linfodrenaggio, è un massaggio manuale che, attraverso specifiche manovre, aiuta a drenare la linfa dai tessuti. In particolare, stimola la contrazione della muscolatura del linfangione, l'unità funzionale motoria propulsiva del sistema vascolare linfatico. Nei casi di lesioni di vie linfatiche, serve alla preparazione di nuove vie alternative di drenaggio, lavorando sull’attivazione delle anastomosi linfo – linfatiche e linfo – venose. Richiede una conoscenza profonda del sistema linfatico ed ha una tecnica di esecuzione ben definita e piuttosto complessa. Le scuole tradizionali di Drenaggio Linfatico Manuale sono quelle che danno seguito alle teorie del Dr. Emil Vodder, fisioterapista finlandese, che presentò il metodo a Parigi intorno agli anni Trenta e del Dr. Albert Leduc, medico belga, che rivisitò alcuni dettagli della tecnica Vodder. Io mi sono formata in una scuola Vodder, il mio linfodrenaggio si basa su quattro movimenti principali: a cerchi fermi, a presa rotatoria, attingenti e a pompa. Il massaggio viene eseguito lentamente e in maniera ritmica, esercitando una leggera pressione. Ogni movimento va ripetuto un numero preciso di volte. 

 

Come si svolge la seduta in ambulatorio?

La seduta di linfodrenaggio parte con l'osservazione del paziente. Mentre io osservo le condizioni cliniche delle sedi interessate, consiglio al paziente di eseguire esercizi per stimolare e migliorare la respirazione diaframmatica e prepararsi al massaggio, che ha una durata di circa 40/50 minuti.  La parte iniziale del massaggio prevede la stimolazione e quindi “l’apertura” delle stazioni linfonodali più grandi, partendo sempre da quelle del collo per arrivare a quelle più distali come inguine e cavo popliteo per gli arti inferiori. Si procede poi con l’esecuzione dei vari movimenti sopradescritti secondo un ordine di lavoro ben preciso, molto lento e cadenzato. Al termine dell'azione massaggiante, se necessario, viene confezionato sulla sede trattata un bendaggio elastocompressivo.
Nel corso della mia formazione successiva alla preparazione Vodder, ho studiato molti schemi di trattamento innovativi al fine di ottenere un risultato più incisivo. Per questo la mia seduta di Drenaggio Linfatico Manuale si conclude con mobilizzazioni passive e attive utili a migliorare l'escursione articolare e con esercizi isotonici per stimolare le pompe muscolari. I pazienti possono usufruire di attrezzi come pesetti, elastici e bastoni per ottimizzare il lavoro. Di recente ho iniziato a dedicarmi allo studio del LinfoTaping, ovvero dell’utilizzo di un tipo di cerotto particolare, come quelli colorati che usano gli sportivi per infortuni muscolari, che resta in sede per giorni e che viene applicato dopo la seduta di linfodrenaggio secondo uno schema specifico al fine di stimolare il sistema linfatico durante la quotidianità del paziente.

Qualcuno lo ha già provato ed ha trovato molti benefici!

 

 

 

Quando è necessario il Drenaggio Linfatico Manuale?

Le principali indicazioni di utilizzo del Drenaggio Linfatico Manuale sono:

Il linfodrenaggio può essere inoltre utilizzato anche in medicina estetica, per combattere gli inestetismi provocati dalla PEFS, la Panniculopatia Edemato Fibro Sclerotica, comunemente chiamata “cellulite”, un disturbo degenerativo del pannicolo adiposo, che si manifesta con il tanto odiato aspetto della pelle a “buccia d’arancia”.
Prima di effettuare qualsiasi trattamento è sempre preferibile rivolgersi ad un Medico che pone le indicazioni corrette per il trattamento. Il numero e la frequenza delle sedute, infatti, vengono generalmente stabilite in collaborazione con lo Specialista che ha effettuato la diagnosi e solitamente sono suddivise in due fasi: una fase intensiva, con sedute più vicine nel tempo, che hanno l'obiettivo di ridurre al massimo l'edema, ed una fase di mantenimento, con sedute distanziate nel tempo che diventano la routine del paziente. 

 

Quali prestazioni possono richiedere i pazienti?

Svolgo principalmente le seguenti prestazioni: 

  • Trattamento integrato del linfedema primario e secondario degli arti superiori e inferiori
  • Drenaggio Linfatico Manuale (DLM) secondo metodo Vodder
  • Bendaggio elastocompressivo
  • Ginnastica decongestionante
  • Massoterapia distrettuale
  • Kinesiterapia segmentaria

Per qualunque informazione, potete contattarmi al 3286873787.

 

Cosa ne pensi della nostra collaborazione? È una formula che funziona?

Il mio lavoro in ambito linfologico è in continua crescita ed evoluzione. Grazie alla collaborazione con la dottoressa Elio ho la possibilità di imparare e di aumentare le mie conoscenze. In studio, abbiamo spesso l'occasione di seguire gli stessi pazienti, monitorare le problematiche, valutare i risultati ottenuti e riadattare eventualmente la terapia. Si lavora in equipe dove ognuno mette in campo le proprie competenze. Quando ho la possibilità assisto alle visite della dottoressa durante le quali si presentano patologie diverse . Esistono edemi che possono sembrare simili ma poi con un attenta diagnosi si evidenziano origini diverse e da questo ne scaturiscono vari approcci terapeutici. È proprio il ragionamento clinico e la supervisione della dottoressa il valore aggiunto a questa mia nuova esperienza.

 

Vi racconto come ci siamo incontrate...

I miei studi e le mie esperienze lavorative mi hanno insegnato quanto il DLM sia fondamentale nel percorso dei miei pazienti. Quando, nel 2011, sono tornata a vivere a Termoli, cercavo disperatamente un fisioterapista che avesse seguito una formazione Vodder o Leduc, ma non riuscivo a trovarlo. Mi sentivo persa. Poi un giorno, qualcuno, non ricordo bene chi, mi ha dato il numero della Dr.ssa Viberti e ho prenotato la seduta come “Concettina”. Prima di iniziare il trattamento, la Dr.ssa Viberti mi ha chiesto come mai volevo fare una seduta, se ero stata visitata da un medico e se avessi delle patologie particolari e con calma e gentilezza mi ha spiegato cosa fosse il linfodrenaggio, a cosa servisse e cosa mi dovevo aspettare succedesse dopo.
Solo quando ha finito il suo racconto, ha intrapreso il DLM eseguito perfettamente secondo scuola Vodder. Verso la fine della seduta mi ha chiesto se era stato piacevole e se mi era chiaro quanto mi aveva spiegato.  Io le ho risposto: “Chiarissimo e complimenti! Sono una flebologa ma pochi miei colleghi avrebbero saputo fare altrettanto”
A questa mia affermazione lei è arrossita, imbarazzata e preoccupata di essere stata sufficientemente preparata.
Io, invece, mi ero appena innamorata del suo amore per ciò che faceva.
Ero felice: avevo trovato la MIA FISIOTERAPISTA!

 

Linfedema secondario post mastectomia:  come posso prevenirlo?

Linfedema secondario post mastectomia: come posso prevenirlo?

Linfedema: cos’è

Il linfedema è una patologia cronica e disabilitante del sistema linfatico che colpisce gli arti superiori e inferiori. È da una riduzione del numero o della funzionalità delle vie linfatiche; può essere congenita o acquisita, in seguito ad interventi chirurgici demolitivi o traumi. Nel primo caso parleremo di linfedema primario; nel secondo di linfedema secondario.
Si caratterizza per l’aumento di volume dell’arto colpito, a causa dell’accumularsi della linfa nei tessuti. Si tratta di un edema ben distinto, poiché ricco di proteine, che a lungo andare tendono a rendere l’arto fibrotico e duro.
Si verifica con frequenza in oncologia a seguito di interventi chirurgici per asportare tessuto neoplastico. Il linfedema post – mastectomia si sviluppa nell’arto superiore, in caso di asportazione del seno e spesso anche dei linfonodi omolaterali. Difficile stabilire quale sia l’incidenza dei casi di linfedema, sia per la sottostima diagnostica, sia per lo scarso interesse mostrato da parte di medici e pazienti in quanto le possibilità terapeutiche sono spesso limitate.

Linfedema post-mastectomia: i dati
Nel 2020, secondo i dati pubblicati dalla Fondazione Veronesi, sono stati diagnosticati in Italia 54.976 casi di carcinoma alla mammella, pari al 14, 6% delle nuove diagnosi. Secondo un censimento del 1994 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i linfedemi secondari si manifestano nel 15-20% dei casi di intervento di mastectomia. Come già anticipato non abbiamo dati certi perché mancano degli studi puntuali, ma capite bene che è una percentuale consistente e che è molto importante lavorare sulla prevenzione e sul trattamento di tale patologia. 


Diagnosi 

Per una diagnosi corretta sono indispensabili una dettagliata anamnesi, un’attenta valutazione clinica (ricerca del segno di Stemmer) e un’indagine ecocolordoppler approfondita per escludere eventuali complicanze venose o arteriose. Nei casi dubbi o di più difficile comprensione, possono essere di aiuto indagini di II e III livello quali linfoscintigrafia, linfangiorisonanza magnetica o TC.

A livello clinico, il linfedema viene classificato in 4 stadi evolutivi, a seconda delle variazioni che l’edema subisce nel corso della giornata e della presenza di complicanze:

  • Stadio 0
    I vasi linfatici sono già danneggiati, ma non è ancora visibile alcun gonfiore;
  • Stadio 1
    Il gonfiore si sviluppa nel corso della giornata, ma scompare parzialmente o completamente tenendo gli arti sollevati. Premendo con un dito sui tessuti, si forma una depressione che rimane per un certo tempo; 
  • Stadio 2
    Il gonfiore persiste anche dopo un riposo più prolungato. La cute è rigida e sollevare gli arti non è più utile. È difficile o addirittura impossibile formare una depressione nella cute.
  • Stadio 3
    È caratterizzato dal gonfiore costante e dalle alterazioni cutanee, ad esempio sotto forma di vescicole che perdono liquido linfatico. L’evoluzione più tardiva dello stadio 3 è l’elefantiasi.

 

Prevenzione

La prevenzione dell’insorgenza del linfedema secondario post-mastectomia parte già dal tentativo di rendere l’intervento chirurgico il più possibile conservativo e il meno possibile demolitivo.
Il linfedema secondario può presentarsi immediatamente dopo l'intervento chirurgico o più tardivamente. L’edema che compare immediatamente nel post-operatorio è dovuto principalmente alla mancata mobilizzazione dell’arto e al conseguente ristagno dei liquidi. Una precoce e graduale ripresa dell’attività dell’arto superiore ne permette la risoluzione entro qualche giorno o al massimo qualche settimana. Il linfedema vero e proprio si manifesta generalmente dopo 6-12 settimane ma può insorgere anche dopo anni. Ha una evoluzione lenta e graduale, ma se non trattato raggiunge purtroppo con il tempo gli stadi più avanzati. Per questo è fondamentale che l'intervento riabilitativo sia precoce e mirato alla prevenzione delle complicanze.
Prima ancora di intraprendere un percorso terapeutico adeguato, bisogna immediatamente mettere in atto norme di igiene quotidiana per tutelare l’arto interessato: 

  • indossare indumenti comodi e non troppo stretti (spalline dei reggiseni/body/costumi non devono lasciare segni); 
  • detergere e idratare la cute con cura, usando preferibilmente sostanze a pH neutro;
  • in caso di ferite della cute o delle unghie, di micosi o di punture di insetti disinfettare sempre bene le zone lese;
  • fare iniezioni, infiltrazioni o prelievi di sangue sull’arto controlaterale; 
  • se possibile evitare di utilizzare l’arto interessato per fare grandi sforzi (sollevare buste della spesa, casse dell’acqua, tener in braccio i bambini etc...)
  • cercare di mantenere un peso ideale, seguendo un’alimentazione sana

 

Ricordate: ogni piccolo dettaglio nella cura del vostro arto può fare la differenza! 

 

 

Complicanze

I linfedemi primari e secondari possono andare incontro a vari tipi di complicanze locali e sistemiche delle quali le più importanti sono:

  • Linfangite
    Processo infiammatorio solitamente di natura infettiva, che interessa i vasi linfatici. Si manifesta con strie rosse e rilevate, edema cutaneo e sottocutaneo, dolore intenso alla mobilizzazione e alla pressione. Può complicarsi con febbre e astenia. Necessita di trattamento con antibiotici, di analgesici e antinfiammatori e nei casi più resistenti di corticosteroidi.

  • Erisipela
    Processo infettivo che interessa la cute (derma e ipoderma). Si manifesta con una chiazza di colore rosso vivo, calda e dolente, con cute tesa e lucente, a limiti netti, a gradino verso la parte sana. Lo stato generale è compromesso, con astenia, malessere e febbre con brividi elevata (39 - 40 °C). Complicanze più frequenti sono rappresentate da ascesso, flemmone e nei casi peggiori sepsi. Nei casi resistenti alla terapia antibiotica domiciliare, si richiede l’ospedalizzazione.

 


Terapia

Il linfedema è una patologia cronica e non ha quindi una cura definitiva. Una paziente che ha subito un intervento di mastectomia radicale e/o linfoadenectomia ascellare avrà sempre la possibilità di svilupparlo nel corso della vita e per questo deve prevenirlo. Una paziente che invece lo ha già sviluppato, deve fare il possibile affinché non progredisca e peggiori nel tempo. Una paziente che ha raggiunto gli stadi tardivi deve fare il possibile per migliorare la sua situazione clinica. 
Il trattamento per il linfedema è complesso e richiede grande dedizione e costanza. Dovrebbe essere sempre globale ed integrato, di tipo sia fisico – riabilitativo che farmacologico e non può mai prescindere dal mettere in atto le norme di igiene per la prevenzione delle complicanze. Per ottenere dei buoni risultati clinici, è necessario effettuare cicli di drenaggio linfatico manuale (sec. Vodder o Leduc) e successivo bendaggio elastocompressivo dell’arto se consigliato, eseguire quotidianamente esercizi di mobilizzazione dedicati e magari, se possibile, idrokinesiterapia (sfruttate molto il mare, se potete!).
Sarebbe ideale indossare subito un bracciale elastocompressivo, adeguatamente prescritto dal Medico Specialista. È d'aiuto assumere ciclicamente integratori a base di cumarina, bromelina, centella, ippocastano, betulla che aiutano a ridurre il ristagno di liquidi e proteine nei tessuti affinché non si trasformino in materiale fibrotico.
Nei suoi stadi più avanzati, il linfedema costituisce una patologia di difficile trattamento. Per tale motivo, nei casi più complicati, si consiglia un ricovero di 7-14 giorni in strutture dedicate, al fine di effettuare un trattamento più intensivo, i cui risultati possono essere poi mantenuti a domicilio con cicli di terapia ambulatoriale.

 

Il mio messaggio per voi: 

Quando incontro una donna che ha subìto una mastectomia spero sempre di riuscire a trasmetterle che, sebbene inizialmente tutto sembra molto complicato, con un po’ di pazienza e di ottimismo, potrà raggiungere buoni risultati e che con un altro pochino di pazienza e di ottimismo i trattamenti e le norme di igiene dedicati entreranno a far parte della sua routine fino a non sembrare nemmeno più delle terapie mediche.

 

 

Gambe gonfie durante il lockdown: cosa posso fare?

Gambe gonfie durante il lockdown: cosa posso fare?

Il lockdown e i lunghi periodi trascorsi in casa hanno favorito l'insorgere di alcuni problemi agli arti inferiori, causati principalmente dalla sedentarietà. Uno dei più comuni, che riscontro ormai da diversi mesi anche tra i miei pazienti, è il gonfiore  alle gambe che può manifestarsi con sintomi lievi, ma che può evolvere anche in complicanze più serie, come le ulcere cutanee.
In questo articolo vedremo insieme come funziona il sistema della circolazione del sangue degli arti inferiori e scopriremo come prevenire e trattare il problema delle gambe gonfie con alcune pratiche indicazioni, che ovviamente non sono risolutive, ma possono almeno aiutare ad evitare le complicanze.
Il primo consiglio è comunque di rivolgersi al proprio medico di base e valutare se è necessario richiedere una visita specialistica di approfondimento per esaminare il caso: è fondamentale intervenire in tempo per evitare repentini peggioramenti.

 Gambie gonfie Edema

 

Le pompe muscolari: i motori della nostra circolazione

Il sangue nel nostro corpo è trasportato in maniera costante e regolare nei vari distretti, in due forme distinte: circolazione arteriosa (dal cuore alla periferia) e circolazione venosa (dalla periferia al cuore).
Negli arti inferiori, la direzione del flusso venoso di ritorno verso il cuore è dal basso verso l'alto. Il sangue deve quindi avere una bella forza per procedere contro gravità ed evitare che ristagni. Questo lavoro è affidato alle pompe muscolari, che ad ogni movimento spingono una grossa quota di sangue verso l'alto. Per evitare che dopo ogni spinta il sangue torni in basso, ogni vena collocata all'interno di questo sistema è dotata di valvole, che si richiudono subito dopo il passaggio del sangue stesso.
Le pompe muscolari degli arti inferiori più importanti sono 3: la pompa muscolare del piede, la pompa muscolare del polpaccio e la pompa muscolare della coscia.

 

Le cause del gonfiore

Quando siamo in movimento, le pompe si contraggono e si rilassano costantemente, favorendo il continuo ritorno venoso verso il cuore. Quando invece siamo a riposo, questo sistema si ferma e il sangue che ristagna nelle vene favorisce l’ultrafiltrazione di liquidi che si accumulano nei tessuti, creando edema e quindi dando il fastidiosissimo gonfiore alle gambe.

Facile dedurre quindi come questo sia causato principalmente dalla sedentarietà. L'emergenza sanitaria generata dal Covid-19 ci ha costretti a stare maggiormente a casa e/o a lavorare in smart working, impedendo per ore, giorni, mesi di fare adeguato movimento fisico. Per questo motivo, molte persone che non avevano mai avuto problemi alle gambe, hanno avvertito indolenzimento, pesantezza e gonfiore. A peggiorare questa situazione ha contribuito anche il riscontro comune dell’aumento di peso, che influisce negativamente sul lavoro delle pompe muscolari.

 

Gambie gonfie 

Come prevenire e limitare il gonfiore alle gambe

Cosa possiamo quindi fare per aiutare un po' queste gambe nonostante le condizioni difficili a cui ci obbliga il lockdown?

L'obiettivo primario deve essere riuscire ad attivare le pompe muscolari ogni volta che possiamo. Prediligete brevi passeggiate (almeno 30 minuti), ma frequenti: non c'è bisogno di percorrere chilometri di corsa, ma durante la camminata dovete concentrarvi sull’utilizzo dei piedi e dei polpacci…dovete sentire che si contraggono di continuo fino quasi a farvi male!

In casa, camminate sulle punte e quando siete a lungo seduti davanti al pc eseguite costanti dorsiflessioni del piede. Evitate di usare le ciabatte perché ci fanno trascinare i piedi: indossate invece scarpe chiuse e leggere, con suola morbida, oppure camminate scalzi.
Se riuscite, dormite con gli arti inferiori un po' sollevati, mettendo dei rialzi sotto i piedi del letto o sotto il materasso: evitate ASSOLUTAMENTE i leggendari cuscini sotto le gambe, che fanno più danno che altro.

 

La terapia medica: consigli utili

Oltre agli esercizi indicati, potete aiutarvi con una terapia medica. Se non avete la possibilità di consultare uno specialista, iniziate con trattamenti non troppo intensivi. Il vostro primo alleato è la calza elastica. Se non avete una prescrizione specifica, potete acquistare una linea preventiva di buona qualità: idealmente 18 mmHg, se non ci sono particolari controindicazioni. È sufficiente utilizzare un gambaletto fino al ginocchio che ottimizza il lavoro delle pompe del polpaccio. Potete, poi, inserire nella vostra dieta integratori a base di bromelina, betulla, centella asiatica, meliloto. I principi attivi naturali contenuti in queste sostanze, tutti estratti vegetali, hanno proprietà vasotoniche, ossia aiutano il tono venoso e soprattutto il microcircolo, depurative e drenanti, che aiutano a ridurre il gonfiore. Per alleviare un po’ i sintomi, come stanchezza e senso di pesantezza delle gambe, potete anche utilizzare creme e gel a base degli stessi estratti.

Ultimo consiglio, non per importanza, è quello di seguire un'alimentazione adeguata, ricca di tutti gli elementi di cui il nostro corpo ha bisogno (acqua, vitamine, sali minerali, proteine, carboidrati etc) in maniera bilanciata, così sarà più facile controllare il peso.

 

Chirurgia miniinvasiva

Chirurgia mininvasiva per varici e scleroterapia intraoperatoria dei tronchi safenici: nuova frontiera della flebologia

Cosa sono le varici

Le varici, o vene varicose, sono vasi dilatati degli arti inferiori, in cui il sangue, a seguito del cedimento della parete, scorre dall’alto verso il basso e non dal basso verso l’alto, come accade in condizioni normali.
Si verificano principalmente nel sesso femminile e in persone che hanno una predisposizione genetica. Secondo le stime, 1 donna su 10 tra i 30 e i 60 anni è affetta da questa patologia, sulla quale influiscono anche fattori di rischio come vita sedentaria, obesità, terapie ormonali e gravidanze.
Per limitarne la comparsa e scongiurare seri problemi fisici, è dunque importante la prevenzione, conducendo uno stile di vita controllato e seguendo buone regole di alimentazione.
La chirurgia mininvasiva per il trattamento delle vene varicose è una delle tecniche più all'avanguardia nella flebologia e permette di ottenere i migliori risultati funzionali ed estetici con la minore invasività possibile.
Vedremo insieme i vari passaggi dell'intervento, il decorso operatorio e le eventuali complicanze, sebbene molto rare.

 

Come si curano le vene varicose

Il consiglio iniziale è quello di rivolgersi a un professionista mediante una visita specialistica. Per curare le varici, è  necessario infatti impostare un idoneo programma terapeutico, possibile solo dopo una corretta diagnosi, conseguente ad un’attenta valutazione clinica ed anamnestica e ad un esame ecografico mirato, come l'Eco-Color-Doppler, che permette di “disegnare” la condizione emodinamica degli arti inferiori.
È molto importante questo aspetto, anche perché le complicanze possono essere pericolose:

  • emorragia varicosa, caratterizzata da un sanguinamento abbondante;
  • ipodermite, caratterizzata da indurimento della pelle per infiammazioni ripetute che porta alle caratteristiche macchie scure delle gambe e addirittura alle ulcere venose;
  • ulcera venosa caratterizzata da una ferita della pelle che non riesce a guarire;
  • trombosi (o ”flebite”) superficiale caratterizzata dalla trasformazione di una vena varicosa in un cordone duro e arrossato associato a dolore, che a volte può essere di intensità tale da impedire di camminare. Le flebiti superficiali possono anche complicarsi in trombosi venose profonde e avere conseguenze fatali, come l'embolia polmonare.

Le possibilità di trattamento sono:

  • la chirurgia miniinvasiva;
  • la terapia sclerosante o altre metodiche endovenose obliterative (laser, radiofrequenza);
  • combinazione delle due metodiche precedenti;
  • trattamento conservativo (calze elastiche, farmaci flebotropi,ecc.).

 

Chirurgia Mininvasiva

L’intervento chirurgico, che ha una durata compresa tra i 30 e i 60 minuti, ha la finalità di eliminare e/o limitare i disturbi legati all’insufficienza venosa (edema, formicolii, dolori, crampi, prurito, pesantezza) ma soprattutto di ridurre i rischi delle complicanze. Prima dell’intervento viene “disegnata” una mappa delle vene da trattare sull’arto interessato e lungo questo disegno viene somministrata l’anestesia locale che permette di mantenere la sensibilità tattile, ma che elimina la percezione del dolore. Successivamente si effettua una piccola incisione, che nella maggior parte dei casi è di alcuni mm, nella zona in cui la sua vena safena inizia ad essere malata. Mediante questa incisione la vena safena viene isolata e recisa.  Viene inserito al suo interno un sottile tubicino, il catetere, attraverso il quale verrà iniettata una schiuma con capacità sclerosanti che trasforma la vena in un cordone fibroso. Il catetere viene, poi, sfilato e la vena legata. Solo nel caso in cui la vena safena si presenta troppo dilatata, ne viene asportata una parte.
Se si riscontrano altre vene visibili e responsabili del reflusso, attraverso delle piccolissime incisioni, esse vengono legate e/o asportate. Le mini-incisioni vengono poi chiuse con cerottini elastici e le incisioni più grandi con dei punti di sutura. Al termine dell’intervento viene confezionato un bendaggio elastico e compressivo molto imbottito.

 

Decorso postoperatorio

A 10 minuti circa dall’intervento è già possibile mangiare e camminare e la dimissione è prevista dopo poche ore.
Una volta rientrati a casa, anche se con bendaggio, si possono svolgere tutte le attività quotidiane, camminare e muoversi liberamente, ad eccezione del sollevare pesi, stare a lungo in piedi o seduti, guidare.
A una settimana circa dall'operazione viene rimosso anche il bendaggio e gli eventuali punti di sutura e si può riprendere la vita di tutti i giorni, compresa la guida e alcune attività lavorative.
La visita di controllo viene effettuata dopo un mese e in quell'occasione è possibile stabilire con il flebologo la ripresa delle attività sportive praticate, le terapie di mantenimento e i successivi controlli. Il paziente operato deve aver premura di seguire i consigli forniti dallo specialista onde evitare un nuovo intervento chirurgico per varici recidive.

 

Rischi e complicanze

L’accuratezza diagnostica, la valutazione attenta del paziente e i progressi della medicina permettono oggi  di effettuare interventi con bassi rischi; ma, come in tutte le procedure chirurgiche, un rischio seppur minimo di complicanze resta.

Possibili complicanze legate all’intervento 

  • ecchimosi ed ematomi che regrediscono spontaneamente dopo poco tempo senza bisogno di trattamenti;
  • rischio di infezione delle ferite chirurgiche, più frequente nelle zone di maggior sudorazione e/o attrito;
  • lesioni a carico dei nervi sensitivi che potrebbero comportare parestesie a carico dell’arto operato;
  • emorragie che potrebbero comportare anche la necessità di un intervento a scopo emostatico;
  • pigmentazioni che in genere regrediscono dopo qualche tempo;
  • transitoria comparsa di dolore ed edema post-operatorio a carico dell’arto operato.

 

Possibili complicanze legate all’anestesia 

L’anestesia è locale e il tipo di anestestico utilizzato è di uso comune, come quello che sicuramente i pazienti conoscono per le estrazioni dentarie. Ci sono però dei casi di effetti collaterali che, seppur rari, vanno dall'eruzione cutanea allo shock anafilattico.  

Durante l’intervento è sempre effettuato un monitoraggio cardiovascolare ed è posizionato un accesso venoso: ciò consente di somministrare farmaci d’urgenza in caso di necessità.

 

Possibili complicanze legate al decorso post-operatorio 

Si può verificare un ritardo di cicatrizzazione o un'infezione a livello delle incisioni. Ciò è più probabile in individui predisposti per varie cause (diabete, obesità, epatopatie, etc.). La cicatrizzazione può, inoltre, risultare non ottimale a seguito di fattori predisponenti individuali determinanti una ipertrofia della stessa (cheloide) o per altri fattori subentranti non prevedibili, con risultato estetico non soddisfacente.

Complicanze rare 

In casi rarissimi possono sopraggiungere trombosi venosa profonda e/o superficiale a carico dell’arto omo o contro laterale che può ulteriormente complicarsi con l’embolia polmonare o reazioni allergiche, che possono ulteriormente complicarsi fino a diventare fatali, ad uno dei componenti farmacologici (disinfettanti, eventuali sedativi etc…) o a materiali di sala operatoria utilizzati di routine (guanti, cerotti, suture, teli, camici). È bene sottolineare che la possibilità di effettuare l’intervento in anestesia locale permette al paziente di mobilizzare gli arti inferiori immediatamente, questo insieme al confezionamento di un bendaggio elastocompressivo multistrato ben strutturato, riducono notevolmente il rischio di trombosi venose post – intervento.

Complicanze generiche 

Sono le complicanze a carico di cuore, polmoni, reni, fegato, cervello, intestino che possono verificarsi in corso di o dopo qualunque manovra chirurgica o farmacologica, soprattutto in soggetti particolarmente anziani e/o con importanti malattie d’organo.

 

NOTA BENE: i rischi del trattamento chirurgico sono inferiori al rischio che si corre lasciando in sede una vena varicosa per molto tempo.
I trattamenti conservativi alleviano i sintomi e rallentano l’evoluzione della malattia, ma non riescono sempre ad evitare le complicanze. 

 

 

 

 

 

 

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Concettina Elio medico chirurgo

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